mercoledì 3 settembre 2014

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il Generale Dalla Chiesa


Oggi ricorre l'anniversario dell'uccisione del Gen. Dalla Chiesa.

Carlo Alberto dalla Chiesa, a volte scritto Dalla Chiesa è stato un generale, prefetto e partigiano italiano. Fondò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, fu Vice Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri e Prefetto di Palermo.

Nel 1982 viene nominato dal Consiglio dei Ministri prefetto di Palermo e posto contemporaneamente in congedo dall'Arma. Il tentativo del governo è quello di ottenere contro Cosa Nostra gli stessi risultati brillanti ottenuti contro le Brigate Rosse. Dalla Chiesa inizialmente si dimostrò perplesso su tale nomina, ma venne convinto dal ministro Virginio Rognoni, che gli promise poteri fuori dall'ordinario per contrastare la guerra tra le cosche, che insanguinava l'isola.

Il 12 luglio dello stesso anno nella cappella del castello di Ivano-Fracena, in provincia di Trento, sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro.

A Palermo, dove arrivò ufficialmente nel maggio del 1982, lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello Stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì").

In una intervista concessa a Giorgio Bocca, il Generale dichiarò ancora una volta la carenza di sostegno e di mezzi, necessari per la lotta alla mafia, che nei suoi piani doveva essere combattuta strada per strada, rendendo palese alla criminalità la massiccia presenza di forze dell'ordine; inoltre nell'intervista Dalla Chiesa dichiarò:

« Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?»

Tali dichiarazioni provocarono in forma ufficiale il risentimento dei Cavalieri del Lavoro catanesi Carmelo Costanzo, Mario Rendo, Gaetano Graci e Francesco Finocchiaro (i proprietari delle quattro maggiori imprese edili catanesi, alle quali si riferiva Dalla Chiesa) e diedero inizio ad una polemica con l'allora presidente della Regione Mario D'Acquisto, che invitò pubblicamente Dalla Chiesa a specificare il contenuto delle sue dichiarazioni e ad astenersi da tali giudizi qualora tali circostanze non fossero state provate.

Nel luglio del 1982 Dalla Chiesa dispose che il cosiddetto "rapporto dei 162" fosse trasmesso alla Procura di Palermo: tale rapporto portava la «firma congiunta» di polizia e carabinieri e ricostruiva l'organigramma delle Famiglie mafiose palermitane attraverso scrupolose indagini e riscontri.

Per la prima volta, con una telefonata anonima fatta ai carabinieri di Palermo a fine agosto, Cosa Nostra sembrò annunciare l'attentato al Generale, dichiarando che, dopo gli ultimi omicidi di mafia, «l'operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa».

Alle ore 21.15 del 3 settembre 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il Prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata, in via Isidoro Carini a Palermo, da una BMW, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che uccisero il Prefetto e la moglie.

Nello stesso momento l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, veniva affiancata da una motocicletta, dalla quale partì un'altra raffica che uccise Russo.

Il giorno dei suoi funerali, che si tennero nella chiesa palermitana di San Domenico, una grande folla protestò contro le presenze politiche, accusandole di averlo lasciato solo. Vi furono attimi di tensione tra la folla e le autorità, sottoposte a lanci di monetine e insulti al limite dell'aggressione fisica. Solo il Presidente della Repubblica Sandro Pertini venne risparmiato dalla contestazione.

La figlia Rita pretese che fossero immediatamente tolte di mezzo le corone di fiori inviate dalla Regione Siciliana (era presidente Mario D'Acquisto) e volle che sul feretro del padre fossero deposti il tricolore, la sciabola e il berretto della sua divisa da Generale con le relative insegne.

Dell'omelia del cardinale Pappalardo, fecero il giro dei telegiornali le seguenti parole (citazione di un passo di Tito Livio), che furono liberatorie per la folla, mentre causarono imbarazzo tra le autorità (il figlio Nando le definì "una frustata per tutti"):

« Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici [..] e questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo »

Dalla Chiesa fu insignito di medaglia d'oro al valore civile alla memoria.

Il 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un'altra telefonata anonima, che annunciò: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa".

Oggi il corpo di Carlo Alberto Dalla Chiesa riposa nel Cimitero della Villetta, a Parma.

Per i tre omicidi sono stati condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra: i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.

Per non dimenticare.

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