martedì 26 maggio 2015

Consorzio Daunia verde




Oggi vi presentiamo il Consorzio Daunia Verde.

Nasce all’inizio del 2000, con trecento aziende, migliaia di quintali di prodotto certificato, e l’orgoglio di rappresentare, oggi, l’intera filiera dell’olio, dai produttori olivicoli, ai frantoiani, ai confezionatori. Fin dalla nascita, il Consorzio Daunia Verde vanta un esito felicissimo, e dinanzi, l’obiettivo di diffondere ulteriormente la conoscenza dell’olio di Daunia, la terra dove si concentra una tra le maggiori produzioni italiane di extravergine.

Il Consorzio copre quattro zone geografiche ben specifiche.

Il Gargano. L’olio del Gargano, con la tipica ogliarola, pianta maestosa, di dimensioni notevoli, secolare, e dal delicatissimo sapore dolce, indicatissimo per esaltare l’aroma del pesce e dei piatti delicati, delle verdure, e per le salse.

Il Subappennino. Sottozona caratterizzata da un clima che azzera la necessità di interventi fito sanitari, e consente la coltivazione biologica. Dove, proprio per questa tipicità, sono presenti tutte le coltivazioni, dalla peranzana alla coratina, all’ogliarola, e anche altre.

Alto Tavoliere. L'olio a DOP di questa zona è estremamente apprezzato, altamente fruttato, dal retrogusto mandorlato. Armonioso al punto da essere, al tempo stesso, dolce, amaro e piccante. Ottimo se abbinato alle crudité, e alle insalate di ogni tipo.

Basso Tavoliere. Olio inconfondibile per il gusto amaro e piccante, per la bassissima acidità, l’alto numero di polifenoli e la bassa percentuale di perossidi, segni inequivocabili di efficacia salutistica e di lunga durata. Ottimo anche per la versatilità di gusto.

Per informazioni sul Consorzio: http://consorziodauniaverde.it/#home

domenica 24 maggio 2015

Consorzio di tutela del Prosciutto di San Daniele



Oggi vi presentiamo il Prosciutto di San Daniele.

Viene prodotto esclusivamente in Friuli Venezia Giulia nel territorio collinare dell’omonimo comune in provincia di Udine, nell’estremo nord est d’Italia. Riconoscibile per la caratteristica forma a chitarra, la presenza dello zampino e il marchio del Consorzio, il San Daniele è fatto solo con carne di suini nati e allevati in Italia e sale marino. È un alimento naturale privo di additivi o conservanti. L’alto valore nutrizionale e la facile digeribilità lo rendono indicato per qualsiasi tipo di dieta.

Il saper fare il prosciutto si tramanda da secoli a San Daniele del Friuli. La cura per ogni particolare, i gesti propri del mestiere insieme al clima del luogo consentono il ripetersi della tradizione secolare della stagionatura della coscia del maiale.

Poiché è vietata qualsiasi forma di congelamento delle carni, le cosce fresche devono raggiungere rapidamente San Daniele del Friuli, per essere lavorate ricreando il ritmo naturale delle stagioni, con l’utilizzo del sale marino, senza l’aggiunta di additivi o conservanti.

A San Daniele la stagionatura deve durare almeno 13 mesi.

Per svelare il segreto del prosciutto di San Daniele si deve conoscere il microclima di San Daniele del Friuli: qui i venti che scendono dalle Alpi Carniche si incontrano con le brezze provenienti dall’Adriatico, portando sentori resinosi che si mescolano con quelli salmastri in un ambiente dove umidità e temperatura sono regolati dalle terre moreniche e dalle acque del Tagliamento, uno degli ultimi fiumi europei a conservare il suo corso originario.

Il prosciutto di San Daniele, grazie al sale e a una condizione ottimale di temperatura/umidità/ventilazione, si conserva perfettamente senza l’utilizzo di alcun conservante. La tecnica e le modalità con cui avviene la stagionatura contribuiscono a determinare il gusto, la morbidezza, il profumo del prosciutto.

Le cosce devono provenire esclusivamente da maiali nati e allevati in dieci regioni del centro-nord Italia (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria). Gli allevamenti rispettano il benessere dell’animale e sono sottoposti a costanti e accurati controlli. I suini sono alimentati seguendo un’apposita dieta, prevista dal Disciplinare di Produzione del Prosciutto di San Daniele, a base di cereali nobili e siero di latte.

Il Prosciutto di San Daniele si riconosce al primo sguardo, grazie ai segni distintivi riportati su ogni prosciutto. In particolare, l’inconfondibile marchio a fuoco del Consorzio, che garantisce l’esistenza di tutti i requisiti di qualità e la realizzazione dei controlli previsti.

Per ulteriori approfondimenti: http://www.prosciuttosandaniele.it/

sabato 23 maggio 2015

Prima visita ad EXPO 2015



Ieri ci siamo recati in visita ad Expo per la prima volta.

Di seguito alcune riflessioni che vogliamo condividere con i nostri lettori.

1. Siamo entrati alle ore 19 con il biglietto a 5 euro. Buona scelta degli organizzatori perché permette di entrare con un costo molto contenuto, peccato che molti Padiglioni chiudano gli ingressi tra le ore 21 e le ore 22, quindi c'è il tempo per visitare bene un paio di Padiglioni, poi si può cercare un posto dove cenare.

2. Da non perdere assolutamente lo spettacolo di luci, giochi d'acqua, musiche e fuochi d'artifici dell'Albero della Vita: veramente emozionante. Lo spettacolo inizia quando scende il buio, verso le ore 21,30 e si ripete sino alla chiusura, alle ore 23,00.

3. Non basta assolutamente una giornata ad Expo per visitare tutti i Padiglioni. I partecipanti alla manifestazione, con propri stand, sono 145 Nazioni, 3 Organizzazioni Internazionali, 16 esponenti della Società Civile e 6 Corporation: fate voi i conti. In una giornata ad Expo, vissuta intensamente, si possono visitare bene una decina di Padiglioni.

4. Bisogna pensare ad Expo come ad un grande evento tematico, che dura 180 giorni e che poi scomparirà per sempre. Tutto quanto è stato costruito e realizzato per EXPO, al termine della manifestazione, verrà distrutto. Pertanto, solo chi verrà a visitare EXPO potrà dire: io ci sono stato, io ho visto. Expo non è un museo, non si trovano oggetti da vedere o informazioni scritte da leggere. EXPO è prima di tutto un'esperienza sensoriale che colpisce i cinque sensi. Da questo punto di vista, dopo la visita, ciascuno di noi terrà in mente un suo EXPO personale, avrà fatto la sua esperienza di EXPO.

5. Il tema dell'alimentazione e dell'energia per la vita è solo la cornice entro la quale ciascun partecipante ad EXPO ha ideato, progettato ed offerto ai visitatori il proprio punto di vista su questo argomento che ha una valenza generale per l'intera umanità. Per questo all'interno di EXPO possono convivere  le proposte di Mc Donald's e quelle di Slow Food, tanto per intenderci.

Per concludere: l'ideale sarebbe affrontare EXPO a piccoli bocconi, per restare in tema. Una giornata intera ad EXPO può risultare al termine pesante fisicamente e ricca di troppi contenuti che finiscono per diventare un bel minestrone nella nostra testa. Per chi avesse invece a disposizione un solo giorno, sicuramente merita una visita approfondita il Padiglione Zero che introduce molto bene il tema Expo e poi scegliere 3/4 Padiglioni di Nazioni che interessano e approfondire la visita. Per pranzare o cenare, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Noi personalmente abbiamo assaggiato la cucina d'Israele, niente male.

Tutte le informazioni le trovate su: http://www.expo2015.org/it/index.html





lunedì 18 maggio 2015

Consorzio di Tutela del Pecorino Romano





Oggi vi presentiamo il Pecorino romano.

Il Pecorino Romano è un formaggio a pasta dura, cotta, prodotto con latte fresco di pecora, intero, proveniente esclusivamente dagli allevamenti della zona di produzione, eventualmente inoculato con colture naturali di fermenti lattici autoctoni dell’area di produzione e coagulato con caglio di agnello in pasta proveniente esclusivamente da animali allevati nella medesima zona di produzione.

Si presenta con una crosta sottile di colore avorio chiaro o paglierino naturale, talora cappata con appositi protettivi per alimenti di colore neutro o nero.

La pasta del formaggio è compatta o leggermente occhiata e il suo colore può variare dal bianco al paglierino più o meno intenso, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione.

Il gusto del formaggio è aromatico, lievemente piccante e sapido nel formaggio da tavola, piccante intenso nel formaggio da grattugia.

Pochi formaggi al mondo vantano origini così antiche come il Pecorino Romano.

Da più di duemila anni le greggi di pecore che pascolano liberamente nelle campagne del Lazio e della Sardegna, producono il latte da cui viene ricavato questo formaggio. Già gli antichi romani apprezzavano il Pecorino Romano: nei palazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti mentre la sua capacità di lunga conservazione ne faceva un alimento base delle razioni durante i viaggi delle legioni romane. Era talmente in uso fra i Romani, che fu stabilita anche la razione giornaliera da dare ai legionari, come integrazione al pane e alla zuppa di farro: 27 grammi! Questo formaggio ridava forza e vigore ai soldati stanchi e oggi sappiamo perché: il Pecorino Romano è una iniezione di energia e anche di facile digestione.

La lavorazione del latte di pecora descritta da Omero venne, nei secoli successivi, codificata tanto che Columella nel suo “De re rustica” può darne una dettagliata descrizione:

“[...] il latte viene generalmente fatto rapprendere con caglio di agnello o di capretto (…) Il secchio della mungitura, quando sia stato riempito di latte, si deve mantenere a medio calore: non si deve tuttavia accostarlo al fuoco […] ma si deve porre lontano da esso, e appena il liquido si sarà rappreso dovrà essere trasferito in cesti, panieri o forme. Infatti è essenziale che il siero possa scolare immediatamente ed essere separato dalla materia solida […]. Poi quando la parte solida è tolta dalle forme o dai panieri dovrà essere collocata in ambiente fresco e oscuro, perché non possa guastarsi, su tavole più pulite possibile, e cosparse di sale tritato affinché trasudi il proprio umore.


Per maggiori informazioni: http://www.pecorinoromano.com/

domenica 17 maggio 2015

Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana



Oggi vogliamo presentarvi la Mozzarella di Bufala della Campania.

Il termine “mozzarella” deriva dal verbo “mozzare”, ovvero, l'operazione praticata ancora oggi in tutti i caseifici, che consiste nel maneggiare con le mani e con moto caratteristico il pezzo di cagliata filata e di staccare subito dopo con gli indici ed i pollici le singole mozzarelle nella loro forma più tipica: tondeggiante.

Già nel XII secolo, quando le bufale furono sempre più apprezzate per la produzione del loro latte, rendendo consolidata la loro presenza nelle pianure costiere della piana del Volturno e del Sele, compaiono i primi documenti storici che testimoniano come i Monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un formaggio denominato mozza o provatura (quando affumicato), accompagnato da un pezzo di pane, ai pellegrini componenti del Capitolo Metropolitano, che ogni anno, per antica tradizione, si recavano in processione sino alla chiesa del Convento.

Nel XIV secolo esistono diverse testimonianze che provano la commercializzazione di derivati del latte di bufala destinati solitamente al ricco mercato napoletano e salernitano. Per ovvi motivi di viabilità gli unici a giungere erano “mozze” e soprattutto “provature” in cui grazie all'affumicatura si allungava la vita commerciale del prodotto. Ma bisogna aspettare l'anno 1570 quando, appare per la prima volta il termine “mozzarella” in un testo famoso di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale.

Solo verso la fine del XVIII secolo le mozzarelle diventano un prodotto di largo consumo, anche grazie alla realizzazione, da parte dei Borboni, di un grosso allevamento di bufale con annesso anche un caseificio sperimentale per la trasformazione dello stesso latte, nel sito della Reggia di Carditello, la tenuta reale in provincia di Caserta della dinastia spagnola.

Con l'unificazione d'Italia vide la luce ad Aversa, la “Taverna“: un vero e proprio mercato all'ingrosso delle mozzarelle e dei derivati caseari prodotti dallo stesso latte tra cui è bene citare la ricotta, che, quotidianamente, stabiliva le quotazioni in relazione alla produzione e alla richiesta. Il commercio era regolato sulla base di veri e propri contratti che entravano in vigore dal primo settembre al 31 agosto dell'anno successivo, stipulati tra il proprietario delle bufale che trasformava anche il latte ed il “distributore“ dei prodotti.

Di recente l'UNESCO ha iscritto nelle liste del patrimonio culturale dell'umanità la Dieta Mediterranea come stile di vita e modello nutrizionale. La Dieta Mediterranea si basa prevalentemente sul consumo di alimenti di origine vegetale, cui si affianca un consumo di alimenti di origine animale, soprattutto latte e formaggi (quotidianamente). Oggi, possiamo affermare che il più famoso dei latticini italiani, la Mozzarella di Bufala, è parte integrante della stessa, sia perché è espressione del legame con il territorio di origine, sia per le sue peculiarità nutrizionali.

Per scoprire il mondo della Mozzarella di Bufala campana: http://www.mozzarelladop.it/

sabato 16 maggio 2015

Consorzio Tutela Grana Padano




Oggi parliamo del Grana Padano.

La storia narra che il formaggio grana della pianura padana nacque nel 1134 nell'abbazia di Chiaravalle, pochi chilometri a sud di Milano . Veniva prodotto in apposite caldaie all'interno dei monasteri che possono essere considerati i primi caseifici. I monaci lo chiamarono caseus vetus, formaggio vecchio.Il popolo che non aveva dimestichezza con il latino, gli diede un altro nome, derivato dalla particolarità della pasta, compatta ma granulosa. Così nacque il nome di formaggio di grana o più semplicemente grana. I grana più citati sono il lodesano o lodigiano, considerato da molti il più antico, il milanese, il parmigiano, il piacentino ed il mantovano.

Il momento della svolta nella produzione dei formaggi è datato 1951. A Stresa, nel giugno di quell'anno, tecnici e operatori caseari europei siglarono una "Convenzione", nella quale fissarono norme precise in tema di denominazioni dei formaggi e indicazioni sulle loro caratteristiche. In quella occasione vennero distinti il formaggio "di Grana Lodigiano" che poi è divenuto Grana Padano e il "Parmigiano Reggiano". Si dovette però attendere il 10 aprile 1954, perché l'Italia stabilisse alcune norme sulla "Tutela delle Denominazioni di origine e tipiche dei formaggi". Il 30 ottobre 1955 fu emanato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1269 sul "Riconoscimento delle denominazioni circa i metodi di lavorazione, caratteristiche merceologiche e zone di produzione dei formaggi", compreso il Grana Padano. Nel 1996 il Grana Padano ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta da parte dell'Unione Europea. 

Il Grana Padano DOP si produce esclusivamente con latte crudo, proveniente dalla zona di produzione, parzialmente decremato mediante affioramento naturale, munto non più di due volte al giorno da bovine alimentate secondo regole precise e lavorato esclusivamente in caldaie in rame o con rivestimento interno in rame a forma di campana rovesciata, da ognuna delle quali si ricavano due forme. Al latte in caldaia viene aggiunto il siero innesto naturale, viene poi riscaldato a una temperatura di 31-33 °C e addizionato di caglio di vitello per la coagulazione. Si procede con la rottura della cagliata con lo spino e alla successiva cottura sotto agitazione fino ad una temperatura di 53-56 °C. La massa caseosa si deposita sul fondo della caldaia ed è lasciata riposare fino ad un massimo di 70 minuti, perché rassodi e spurghi il siero. Infine gli operatori, con una pala in legno ed un telo "schiavino", la sollevano all'interno della caldaia e la tagliano in due parti uguali, le "forme gemelle". Ognuna di esse è avvolta in un telo di lino, estratta dalla caldaia e posta sullo spersore. A questo punto ogni nuova forma è racchiusa in una "fascera", un tempo di legno ed oggi di idoneo materiale plastico, tenuta ben stretta e leggermente pressata da un disco dello stesso materiale. Dopo circa 12 ore dalla "messa in forma", tra la "fascera" e la parte laterale della forma (lo scalzo), è inserita un'altra fascia di plastica, la fascera marchiante, con in rilievo i marchi di origine: il quadrifoglio con impresso il numero di matricola del caseificio, la sigla della provincia e il mese e l'anno di produzione, e le piccole losanghe romboidali tratteggiate che riportano al loro interno alternativamente le parole "GRANA" e "PADANO". Inoltre a ogni forma è applicata una placca di caseina, che diventerà parte della crosta, con un codice identificativo che ne permette la rintracciabilità.

Per maggiori informazioni: http://www.granapadano.it/

giovedì 14 maggio 2015

Il Salone Internazionale del Libro di Torino







Il Salone Internazionale del Libro (dal 1988 al 1998 Salone del Libro, dal 1999 al 2001 Fiera del Libro, dal 2002 al 2009 Fiera Internazionale del Libro) è la più importante manifestazione italiana nel campo dell'editoria. Si svolge al centro congressi Lingotto Fiere di Torino una volta all'anno, nel mese di maggio.

Nei 51.000 m² di spazio espositivo ospita case editrici di varie dimensioni e nelle sale convegni presenta, in base a un tema portante che varia di anno in anno, un denso calendario di conferenze, spettacoli, presentazioni di libri e iniziative didattiche. Come il Salone del libro di Parigi, si rivolge sia ai professionisti del settore sia al pubblico dei lettori.

Per numero di espositori è la seconda fiera del libro in Europa dopo la Buchmesse di Francoforte; per numero di visitatori è dal 2006 la prima, con più di 300.000 partecipanti.
La XXVIII edizione si svolge al Lingotto dal 14 al 18 maggio 2015 , sul tema "Italia Salone delle Meraviglie"

È la libertà, quella «che si basa sul sapere diffuso, sul rispetto delle persone», quella che i libri «possono aiutarci a raggiungere» che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte citato oggi, nel suo intervento d'apertura del Salone del Libro di Torino 2015.

«Leggere non è solo una ricchezza privata, è un bene comune: è un antidoto all'appiattimento, è ossigeno per le coscienze» ha detto il Presidente e ha invitato a reagire «al rischio di un individualismo che disgrega» e a volgere «il nostro sguardo al futuro» per dare una «ripartenza» all'Italia, spiegando che «anche l'Expo è una grande occasione per il Paese».

«Il libro è il libro qualunque sia il suo formato» ha poi aggiunto mostrando una particolare attenzione per l'editoria dei ragazzi e incoraggiando a non rassegnarsi, perchè «il futuro è nelle nostre mani».

Per seguire il Salone: http://www.salonelibro.it/it/

mercoledì 13 maggio 2015

Consorzio per la tutela del Gorgonzola




Oggi parliamo del Consorzio di tutela del Gorgonzola.

Il gorgonzola è un formaggio assai antico, alcuni affermano che il gorgonzola sarebbe stato fatto per la prima volta, nella località omonima alle porte di Milano, nell’anno di grazia 879.
Secondo altri la nascita ebbe luogo a Pasturo nella Valsassina, grande centro caseario da secoli, grazie alla presenza di quelle ottime grotte naturali la cui temperatura media è costante tra i 6°C ed i 12°C e consente, pertanto, la perfetta riuscita del gorgonzola, così come di vari altri formaggi.

La cittadina Gorgonzola, in ogni caso, rimane il centro di maggior fama, se non di maggior produzione o commercio per vari secoli; infatti il primo vero nome del gorgonzola fu quello di “stracchino di Gorgonzola”, meglio definito poi dal suo sinonimo di “stracchino verde”. In tal contesto, è fuor di dubbio che la sua produzione avvenisse con le mungiture autunnali della transumanza di ritorno dalle malghe od alpeggi.

La diffusione del gorgonzola, per quanto lenta se rapportata ai successi di altri formaggi, fu tuttavia costante almeno per quanto riguarda l’area tra Lombardia e Piemonte: tanto il Pavese quanto il Novarese si aggiungono in modo massiccio a Milano ed al Comasco nella produzione del gorgonzola.

Si prefigura così quello che i decreti del 1955 e del 1977 delimiteranno come zona di produzione e di stagionatura di questo formaggio ormai assurto alla denominazione di origine tutelata.

Dagli inizi del ‘900 in poi il gorgonzola assapora i suoi crescenti successi soprattutto all’estero, stabilendo un record nelle esportazioni con oltre 100 mila quintali annui di formaggio destinati a Inghilterra, Francia e Germania; mentre il primo paese predilige il gorgonzola bianco di sapore mite e leggermente piccante, francesi e tedeschi richiedono espressamente quello dalla pasta venata e dal gusto marcato, il cosiddetto gorgonzola “a due paste”.

Nell’immediato dopoguerra viene messa a punto una nuova tecnica, cioè la lavorazione del gorgonzola ad “una pasta”. Gradualmente sostituisce la precedente produzione, assai empirica, sensibilmente più costosa, igienicamente e qualitativamente incostante. I caseifici e le molte latterie disseminate in tutta la pianura padana, raccolgono il latte presso tutte le cascine e producono il formaggio che viene quindi trasportato presso i grandi centri di stagionatura. Negli anni settanta gli oltre 100 caseifici devono necessariamente modernizzare gli impianti produttivi e diversi piccoli produttori, non riuscendo a sostenere le spese, devono lasciare. Rimangono quindi ad oggi circa una trentina di aziende ben strutturate che oltre a lavorare il latte, il gorgonzola lo stagionano nei lori moderni impianti; si distinguono in grandi e medi complessi.

Per maggiori informazioni: http://www.gorgonzola.com/

lunedì 11 maggio 2015

Santa Giuletta - il paese delle bambole



Santa Giuletta è un comune italiano di circa 2.000 abitanti della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nell'Oltrepò Pavese, parte in collina, parte nella pianura sottostante.

Il nucleo più antico, detto Castello, sorge sulla collina; il nucleo più moderno, detto La Villa, attuale capoluogo, si trova ai piedi della collina, e si estende fino alla ex-statale 10 Padana Inferiore. Il punto più alto di Santa Giuletta è il Monte Zavo (346 m s.l.m.), dal quale venne estratta l'arenaria sufficiente alla costruzione di alcune parti di San Michele (Pavia), San Pietro in ciel d'oro (Pavia) e per la certosa (Certosa di Pavia). Un altro colle di Santa Giuletta è il Monte Campone (351 m s.l.m.), posto sull'esatto confine tra Santa Giuletta, Pietra de' Giorgi e Mornico Losana.

Tra gli anni '50 ed la fine degli anni '60 Santa Giuletta conobbe un'intensa attività industriale legata alla produzione di bambole. Per questa ragione divenne famosa come “paese delle bambole”e fu definita, in alcuni giornali dell’epoca, “la Norimberga italiana”. La prima fabbrica ad operare in tale settore fu la “Fata”, nata a Milano all'inizio del Novecento. Nel 1929 la società Fata venne acquistata dai cugini Teresio Garbagna e Luigi Porcellana, nativi di S. Giuletta e già azionisti all'interno della ditta. Nel 1933 una piccola parte di produzione venne trasferita a S. Giuletta, probabilmente per insegnare il mestiere alle giovani operaie del paese. Questa data rappresenta l'inizio della fabbricazione di bambole nel piccolo paese oltrepadano. Le prime "bambole economiche" furono realizzate in una piccola stanza al primo piano del palazzo Giandolini , in cui lavoravano 7 operaie. Le bambole avevano il corpo di stoffa riempita di "rivia", termine dialettale che indicava dei sottili trucioli di legno, ed avevano la testa in cartone pressato. Gli occhi erano dipinti così come la bocca. Nel 1936 la società trasferì l'intera produzione a S. Giuletta mantenendo a Milano la sede legale ed i magazzini. Nel 1940 Teresio Garbagna si ritirò dalla società e Luigi Porcellana rimase unico proprietario. In breve tempo la fabbrica Fata divenne una ditta di tutto rispetto con una produzione in continua crescita. Fu anche la fucina in cui si formarono i successivi imprenditori e gran parte delle maestranze del settore. Infatti a partire dagli anni '40 nacquero numerosissime altre fabbriche: LIALA (nata nel 1945), DIVA (nata nel 1949) e poi SILBA, ALBA, GIULIETTA, LILLY, MIVA, FARIDA, ROSSELLA, LIANA, MILENA e MONEL.

Dalle prime bambole in cartapesta si passò, verso la fine degli anni '40, a quelle in polistirolo e in polietilene e alla fine degli anni '50 si utilizzò il vinile. Le numerosissime fabbriche del paese producevano bambole non solo per il mercato italiano ma anche per quello estero. Nello stesso periodo sorsero anche alcune ditte complementari: la Società Italiana Materie Plastiche S.I.M.P. di Desimoni & Bezoari, lo Scatolificio Montagna-Barbieri per gli imballaggi, la G.B.D. per le voci, la Grossetti per gli occhi e nel 1956 la LAMPO-FILO per la produzione di capelli in nylon (chiusa nel 2010). Nel frattempo, seguendo una nuova domanda di mercato, alcune aziende trasformarono e diversificarono la propria produzione sempre nel campo del giocattolo. La ditta Rossella nel 1961 passò alla lavorazione di pupazzi in “peluche”e testa in gomma. Anche la Monel dal 1961 produsse bambole e pupazzi in peluche. Nel 1971 la ditta SAPIA iniziò la produzione di giocattoli interamente in plastica. Negli anni '50-'60 quindi tutte le forze lavoro attive a S. Giuletta erano impegnate nelle diverse fasi della lavorazione delle bambole. Quando si avvicinava un appuntamento importante, quale l’annuale “Fiera Campionaria” di Milano, in ogni fabbrica un gruppo scelto di operaie lavorava in gran segreto per creare nuovi modelli capaci di conquistare il mercato.

Vale la pena ricordare che fino agli anni '60 la bambola più che un giocattolo fu considerata un oggetto di pregio addirittura da mettere in bella mostra sul letto delle giovani spose in segno di buon augurio. Che questo fenomeno della “bambola sul letto”fosse largamente diffuso è dimostrato dal gran numero di bambole abbigliate da “damina” che furono vendute non solo in Italia ma anche all’estero. Spesso i militari di ritorno in patria le portavano come souvenir alle loro famiglie. Anche il loro costo era piuttosto elevato potendo raggiungere 10.000 lire quando un’apprendista percepiva 20 lire all’ora.

Purtroppo l’avvento di nuove tecnologie e la concorrenza di zone a produzione più economica (Veneto) determinarono negli anni successivi la progressiva chiusura di tutte le fabbriche di bambole.

Il Comune ha voluto raccogliere bambole, giocattoli, fotografie, calchi, utensili da lavoro, etichette, cataloghi delle varie epoche, dagli anni trenta agli anni ottanta del secolo scorso, e li ha catalogati in un museo. Lo scopo non è solo turistico, ma anche storico-culturale e didattico. Negli scorsi anni si sono svolti corsi indirizzati all’artigianato artistico con un modulo espressamente dedicato alla lavorazione delle bambole. Il Museo è completato da una nuova sede della Biblioteca Comunale attrezzata per mostre e ricerche sulle bambole e sulla storia locale.  E poi vi è la novità del Laboratorio, dove verranno ricostruite le Bambole in Cartapesta sui modelli antecedenti la seconda guerra mondiale.

sabato 9 maggio 2015

Giro d'Italia 2015



Parte oggi dalla Liguria il Giro d'Italia 2015.

Il Giro d'Italia 2015, novantottesima edizione della "Corsa Rosa", si svolgerà in 21 tappe dal 9 maggio al 31 maggio 2015, per un totale di 3.481,8 km.

Il percorso è stato presentato ufficialmente il 6 ottobre 2014 al Palazzo del Ghiaccio di Milano. La partenza avverrà da San Lorenzo a Mare con una cronometro a squadre di 17,9 km e la conclusione in occasione dell'EXPO 2015, sarà nuovamente sul traguardo tradizionale di Milano.

I partecipanti affronteranno un dislivello complessivo di 44mila metri e concluderanno sette tappe con arrivo in salita: Abetone, Campitello Matese, Vicenza (Monte Berico), Madonna di Campiglio, Aprica, Cervinia e Sestriere. Verrà altresì disputata una cronometro individuale di 59,2 km da Treviso a Valdobbiadene dedicata al costruttore di biciclette Giovanni "Nani" Pinarello, morto a Treviso il 4 settembre 2014. La cima Coppi, a 2178m d'altezza, sarà posta sul Colle delle Finestre, mentre la Montagna Pantani sarà il Passo del Mortirolo. È previsto un unico arrivo di tappa all'estero, in Svizzera, con la tappa Tirano-Lugano. Il giorno successivo la tappa partirà dalla località svizzera di Melide.

Se non volete perdere una tappa del giro, seguite il link della Gazzetta: 

venerdì 8 maggio 2015

Consorzio Produttori Fontina D.O.P.




Oggi conosciamo il Consorzio di Tutela della Fontina della Valle d'Aosta.

Il nome Fontina pare origini da un alpeggio di produzione chiamato Fontin; altre versioni lo collegano al villaggio di Fontinaz. Ma il nome potrebbe derivare dal termine francese antico “fontis” o “fondis” a indicare la particolare capacità della pasta di questo formaggio di fondersi col calore.

Pare che la prima citazione della Fontina risalga al 1477 nella Summa Lacticinorum del medico vercellese Pantaleone di Confienza, mentre la prima classificazione è del 1887 con “Le Fontine di Val d’Aosta” nell’annuario della Stazione Sperimentale del caseificio di Lodi. La seconda classificazione avviene negli anni 30 e 40 dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste, tramite la Stazione Sperimentale Alpina di Salice d’Ulzio e l’Istituto zootecnico-caseario di Torino, ancora prima del D.P.R. del 1955 che ne riconosceva la Denominazione di Origine Controllata. Ma è nel 1957 che Giulio Angelo Negri, nel “Il casaro valdostano”, da una prima sistemazione organica della ricerca sino ad allora svolta.

Negli anni 60 l’agricoltura italiana e il settore zootecnico-caseario avviene una rivoluzione. L’industria lattiero casearia si impone con le nuove tecniche di lavorazione e di commercializzazione e vengono eliminate le razze locali. Le produzioni locali però non solo vengono salvate ma si sviluppano sempre di più attraverso una assidua ricerca della qualità e ai marchi di riconoscimento di tipicità.

Costituito nel 1957, il Consorzio Produttori e Tutela della DOP, vigila sulla produzione e sul commercio del Fontina, provvede alla marchiatura in conformità al disciplinare di produzione. Nel primo anno di attività il Consorzio marchiò 75.000 forme e dieci anni dopo 150.000, per raddoppiare ancora alla fine degli anni ‘80. Nel 1995, la Commissione dell’Unione Europea annovera assieme ad altri 6 formaggi italiani la Denominazione di Origine Protetta ‘Fontina’.


Per saperne di più: http://www.fontina-dop.it/fontina.html

lunedì 4 maggio 2015

La tragedia di Superga





La tragedia di Superga fu un incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949. Alle ore 17:03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, siglato I-ELCE, con a bordo l'intera squadra del Grande Torino, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese; le vittime furono 31. In ricordo della tragedia, la FIFA ha proclamato il 4 maggio "giornata mondiale del gioco del calcio".

L'aereo stava riportando a casa la squadra da Lisbona, dove aveva disputato un incontro amichevole con il Benfica per una festa in omaggio del capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira. Nell'incidente perse la vita l'intera squadra del Torino, vincitrice di cinque scudetti consecutivi dalla stagione 1942-1943 alla stagione 1948-1949 e che costituiva la quasi totalità della Nazionale italiana. Nell'incidente perirono anche i dirigenti della squadra e gli accompagnatori, l'equipaggio e tre noti giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa). Il compito di identificare le salme fu affidato all'ex Commissario Tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, che aveva trapiantato quasi tutto il Torino in Nazionale.

Lo spezzino Sauro Tomà, infortunato al menisco, non prese parte alla trasferta portoghese; non presero quel volo neanche il portiere di riserva Renato Gandolfi (gli fu preferito il terzo portiere Dino Ballarin, fratello del terzino Aldo, che intercesse per lui), il radiocronista Nicolò Carosio (bloccato dalla cresima del figlio), Luigi Giuliano (capitano della Primavera del Toro e da poco tempo in pianta stabile in prima squadra, fu bloccato da un'influenza) e l'ex C.T. della Nazionale nonché giornalista Vittorio Pozzo (il Torino preferì assegnare il posto a Cavallero). Invitato ad aggregarsi alla squadra per l'amichevole da Valentino Mazzola, Tommaso Maestrelli, pur giocando nella Roma, non prese il volo poiché non riuscì a rinnovare il passaporto presso la questura. Anche il presidente del Torino, Ferruccio Novo, non prese parte al viaggio perché malato d'influenza.

Il Torino fu proclamato vincitore del campionato a tavolino e gli avversari di turno, così come lo stesso Torino, schierarono le formazioni giovanili nelle restanti quattro partite. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scese in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto ai giocatori. Lo shock fu tale che l'anno seguente la nazionale si recò ai Mondiali in Brasile viaggiando in nave.


domenica 3 maggio 2015

Consorzio Tutela Formaggio Asiago D.O.P.




Oggi vi presentiamo il Consorzio di tutela del formaggio Asiago.

Nell’Altopiano di Asiago, da cui prende il nome il formaggio Asiago, fin dall'anno Mille si produceva un gustoso formaggio. Inizialmente si usava latte di pecora, mentre dal 1500, con il progressivo aumento degli allevamenti bovini sull’Altopiano, la materia prima usata è il solo latte vaccino. La tecnica casearia si è sviluppata e, nel corso dei primi anni del diciassettesimo secolo, la produzione si è allargata alle zone vicine all’Altopiano di Asiago: la zona pedemontana, le pianura limitrofe e le vicine malghe trentine. L'Asiago più antico, più vicino alla tradizione dei casari altopianesi e dal sapore più intenso e avvolgente, è quello Stagionato. Nei primi anni del Novecento, dalla tradizione della zona DOP, combinata alle più innovative tecnologie casearie è nato l’Asiago Fresco. Il gusto di questo formaggio, dolce e morbido, ne ha permesso la diffusione internazionale. 

Sia l’Asiago Fresco che l’Asiago Stagionato si producono in una zona che va dai prati irrigui della pianura padana agli alpeggi dell'Altopiano di Asiago e del Trentino. La zona di raccolta del latte e di produzione del formaggio Asiago DOP comprende quattro province: Vicenza, Trento e una parte di Padova e Treviso. Si tratta della zona in cui originariamente è nato il formaggio Asiago, l’Altopiano di Asiago, e dei territori circostanti, in cui la produzione di questo formaggio si è diffusa. Il formaggio Asiago prodotto con latte di aziende agricole e trasformato interamente al di sopra dei 600 metri , può fregiarsi della menzione aggiuntiva "Prodotto della Montagna Solo il formaggio Asiago prodotto in questa zona è autentico formaggio Asiago DOP.

Per maggiori informazioni sul Consorzio di tutela: http://www.asiagocheese.it/it/

sabato 2 maggio 2015

Consorzio Olio DOP Terre di Siena



Il tema dell'Expo, come ormai tutti sanno riguarda l'alimentazione. Nutrire il pianeta. Energia per la vita.

Da oggi peanutsfromitaly passerà in rassegna il top delle filiere alimentari italiane rappresentate dai Consorzi di tutela dei prodotti tipici del Bel Paese, famosi in tutto il mondo.

Iniziamo oggi dall'Olio Extravergine di Oliva DOP Terre di Siena.

L’olio Dop Terre di Siena ha colore dal verde al giallo con variazioni cromatiche nel tempo, odore fruttato, gusto con note di amaro e piccante ed un’acidità massima pari allo 0,50%.

L’olio extravergine d’oliva Terre di Siena Dop è il frutto di olive raccolte direttamente dalla pianta, giunte a maturazione fisiologica, conservate in locali freschi e ventilati e trasportate in cassette per evitare surriscaldamenti e fermentazioni.

Prima di procedere all’estrazione dell’olio effettuata con metodi meccanici e fisici destinati a non modificare le caratteristiche peculiari originarie del frutto, le olive sono lavate con acqua a temperatura ambiente.

L’olio così ottenuto può essere confezionato esclusivamente nella zona di produzione in bottiglie con capienza sino a 5 litri o lattine metalliche di 5 litri.

Il Terre di Siena Dop è ottimo per condire insalate e minestre tipiche della tradizione toscana come la zuppa di farro e la minestra di fagioli, a compendio del pinzimonio, delle verdure, dei cibi cotti e della carne alla griglia. Perfetto per i fritti.

Per chi volesse approfondire la conoscenza: http://terredisienadop.it/

venerdì 1 maggio 2015

EXPO Milano 2015: si parte!



Si parte! Sotto una pioggia sottile si è aperta ufficialmente questa mattina alle 12 l'Esposizione Universale di Milano. Expo bagnato, Expo fortunato. Speriamo. Già diverse migliaia di persone hanno visitato i padiglioni in questa prima giornata.

Questa sera, al termine della prima giornata di Expo, al Teatro alla Scala di Milano andrà in onda la Turandot di Giacomo Puccini.

Al seguente link potete seguire in diretta streaming lo spettacolo scaligero dalle ore 19,45:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/dirette/PublishingBlock-5d691044-de91-4942-8c9c-4b9bda4b8b79.html

Buona serata a tutti.