sabato 26 settembre 2015

Consorzio del pecorino siciliano



Oggi conosciamo il pecorino siciliano.

Il Pecorino Siciliano, in siciliano Picurinu Sicilianu, è un formaggio a Denominazione di origine protetta prodotto esclusivamente con latte di pecora nel territorio siciliano.

Il più antico formaggio prodotto in Sicilia, probabilmente il più antico d'Europa. Conosciuto già dai greci ai tempi di Omero e molto apprezzato dagli antichi romani. 

Oggi, il marchio di denominazione d'origine protetta garantisce un prodotto di antichissima tradizione che trova le sue origini nella storia della Sicilia.

Il 12 giugno 1996 la Commissione europea riconosce la DOP con decreto CE n. 1107/96.

È un formaggio a pasta semidura bianca, dal colore e sapore forte. Di forma cilindrica, con una faccia leggermente concava, la forma tipo ha un peso variabile di kg 12 più o meno il 15%.

Il pecorino siciliano viene prodotto unicamente con latte di pecora crudo intero a cui viene aggiunto il caglio in un tino di legno. Si passa poi all'incanestratura e successivamente alla salatura. Può essere consumato ad un livello più o meno alto di stagionatura. Le sue caratteristiche cambiano secondo il livello di stagionatura, anche se per poter essere marchiato necessita di un minimo di quattro mesi di stagionatura.

Viene prodotto in tutta la Sicilia, ma soprattutto nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Trapani e Palermo.

lunedì 21 settembre 2015

Rosario Livatino



Rosario Angelo Livatino (Canicattì, 3 ottobre 1952 – Agrigento, 21 settembre 1990) è stato un magistrato italiano assassinato dalla Stidda.

Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952, figlio di un avvocato di nome Vincenzo Livatino e di Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il liceo classico Ugo Foscolo, dove si impegnò nell'Azione Cattolica, nel 1971 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Palermo presso la quale si laureò nel 1975 cum laude. Tra il 1977 e il 1978 prestò servizio come vicedirettore in prova presso l'Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entrò in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta.

Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere.

Venne ucciso il 21 settembre del 1990 sulla SS 640 mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. Del delitto fu testimone oculare Pietro Nava, sulla base delle cui dichiarazioni furono individuati gli esecutori dell'omicidio.

Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana e aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.

Otto mesi dopo la morte del giudice, l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì «giudici ragazzini» una serie di magistrati neofiti impegnati nella lotta alla mafia:

« Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno...? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta. »

Dodici anni dopo l'assassinio, in una lettera aperta pubblicata dal Giornale di Sicilia e indirizzata ai genitori del giudice, Cossiga smentì che quelle affermazioni dispregiative fossero riferite a Rosario Livatino, che definì invece "eroe" e "santo". Papa Giovanni Paolo II lo definì invece «martire della giustizia e indirettamente della fede».

sabato 19 settembre 2015

La battaglia di Pavia e l'Oltrepò





Se ancora dovete visitare l'Expo di Milano e vi avanza un giorno di vacanza, un suggerimento potrebbe essere quello di recarsi a visitare il Castello Visconteo di Pavia dove è in mostra sino al 15 novembre 2015 uno dei celebri arazzi fiamminghi dedicati alla Battaglia di Pavia, proveniente dal Museo di Capodimonte di Napoli.

A 490 anni dalla Battaglia di Pavia, la città ricorda il cruciale scontro tra le armate francesi e quelle spagnole con una mostra allestita al Castello Visconteo, in un'ala appena restaurata e per la prima volta aperta al pubblico.

L’opera esposta – di quasi 8 metri di lunghezza e 5 di altezza – raffigura la Sortita degli assediati e la rotta degli svizzeri che annegano in gran numero nel Ticino. La scena è dominata da una magnifica Pavia, la città che sotto il comando di Antonio de Leyva aveva resistito per quasi quattro mesi all’assedio di Francesco I, consentendo il trionfo di Carlo V in quel nebbioso 24 febbraio 1525.



Terminata la visita al Castello è poi consigliata una passeggiata nell'Oltrepò pavese e magari una sosta culinaria in uno dei moltissimi agriturismi della zona che offrono pietanze gustosissime.

L'Oltrepò Pavese si distingue infatti per un'ampia varietà di locali che offrono prodotti tipici della zona. Sicuramente il prodotto principale è il rinomato vino dell'Oltrepò Pavese, ma ricordiamo anche:

  • Agnolotti pavesi, pasta ripiena di carne stufata, uno dei primi tipici dell'Oltrepò Pavese. La ricetta classica li vede conditi con lo stesso stufato usato per il ripieno.
  • Bollito misto, composto da carni miste, dal biancostato di bue, al codino di vitello, al ginocchietto alla testina di vitello. Spesso accompagnato da salsa verde o con la mostarda tipica di Voghera, oppure con i peperoni.
  • Malfatti, una variante della tradizione culinaria lombarda, sono gnocchi oblunghi verdi fatti con pan grattato, biete cotte e uova, impastato il tutto, dopo bollitura in acqua salata si condiscono con sugo di funghi porcini oppure con pomodoro o basilico.
  • Salame di Varzi, è uno dei prodotti più conosciuti dell’Oltrepò Pavese, per la sua particolarità ed il suo gusto tipico. Al taglio si presenta di un colore rosso vivo inframmezzato dal bianco del grasso. È un tipico insaccato di tutta la valle Staffora.
  • Schita, è una frittella composta da acqua farina strutto. Solitamente accompagna i salumi locali.
  • Stracchino di Voghera, un dolce semifreddo che si presenta con un giusto equilibrio di morbidezza e consistenza offrendo al palato una piacevole alternanza di dolce dato dallo zabaglione e di amaro dato dal cacao.
  • Torta di mandorle di Varzi, un dolce tipico, realizzato con mandorle di prima scelta coltivate nella zona.
Per informazioni: http://www.oltrepeat.com/





lunedì 14 settembre 2015

Festival del Medioevo a Gubbio



Dal 30 settembre al 4 ottobre si svolgerà a Gubbio la prima edizione del Festival del Medioevo. Un'occasione unica per conoscere da vicino, senza pregiudizi e false credenze, una storia lunga 1000 anni, scoprendo le analogie e le differenze con l'oggi.

Perché l'obiettivo del festival è proprio la condivisione di un imponente e complesso patrimonio di saperi storici, artistici, religiosi e culturali che spesso è riservato solo a una ristretta élite di esperti.

A questo servono infatti gli incontri con scrittori qualificati e autorevoli studiosi (tra cui Franco Cardini, Chiara Frugoni, Tullio Gregory, Massimo Montanari e Jacques Dalarun), le mostre, i concerti, gli spettacoli, i mercati (come la Fiera del libro medievale e L'Erbario, con piante officinali, bevande e medicamenti naturali) e tutti gli appuntamenti culturali che affolleranno il calendario dei cinque giorni della manifestazione. "Ci sono tante belle rievocazioni in Italia ma questo festival è diverso. Noi vogliamo divulgare il Medioevo e chiarire i tanti equivoci che ci sono sui suoi dieci secoli di storia", ha dichiarato Federico Fioravanti, ideatore della manifestazione, durante la conferenza stampa presso la sede Rai di viale Mazzini, sottolineando che anche la scelta della cittadina umbra non è casuale perché "a Gubbio il Medioevo si respira camminando".

Proprio per ricercare le radici medievali dell'Europa e riflettere sui destini e sulle sfide multiculturali che attendono al varco il Vecchio Continente, il festival nelle intenzioni degli organizzatori vuole avere una spiccata vocazione internazionale, proponendosi come centro in cui far confluire personaggi di spicco italiani e stranieri. Senza contare l'ambizione di diventare il principale evento di Gubbio, proiettandosi già nei prossimi anni. "Siamo una piccola grande capitale del Medioevo", ha detto Filippo Mario Stirati, sindaco di Gubbio, "Rivendichiamo un tessuto urbano medievale che va oltre i luoghi più noti della città e che va riscoperto nella sua interezza. Per questo il festival non vuole avere un approccio elitario né tantomeno kitsch, ma propone una divulgazione seria". 

Un'occasione da non perdere per gli appassionati del periodo storico e per chi vuole fare un tuffo nel passato. E' possibile seguire tutto il festival sul sito: http://www.festivaldelmedioevo.it/portal/

sabato 12 settembre 2015

La vendemmia



In Italia siamo in pieno periodo di vendemmia.

Il periodo di vendemmia varia tra luglio e ottobre (nell'emisfero boreale) e tra febbraio e aprile (nell'emisfero australe), e dipende da molti fattori, anche se in maniera generica si identifica con il periodo in cui le uve hanno raggiunto il grado di maturazione desiderato, cioè quando nell'acino il rapporto tra la percentuale di zuccheri e quella di acidi ha raggiunto il valore ottimale per il tipo di vino che si vuole produrre.

Se questo parametro è genericamente valido per le uve da tavola, nel caso di uve destinate alla produzione del vino è necessario considerare ulteriori parametri per decidere quando e come vendemmiare.

Il momento della vendemmia può dipendere da:

  • condizioni climatiche: all'aumentare della latitudine le uve maturano più tardi;
  • zona di produzione: le uve delle vigne esposte a sud maturano prima di quelle esposte a nord; all'aumentare dell'altitudine le uve maturano prima;
  • tipo di uva: i vitigni a bacca bianca maturano in genere prima dei vitigni a bacca rossa;
  • tipo di vino che si vuole ottenere, determinato dalla maggiore o minore presenza di alcuni componenti, quali:
  • zuccheri, un maggior tenore di zucchero aumenterà il grado alcolico del vino prodotto; inoltre un giusto tenore zuccherino è indispensabile per avviare la fermentazione alcolica;
  • acidi, le sostanze acide sono necessarie sia per evitare la proliferazione di batteri (e quindi di malattie), sia per la successiva conservazione del vino;
  • componenti aromatici, variano durante la maturazione dell'uva, e contribuiscono a determinare le caratteristiche organolettiche del vino.
Il 2015, con un quasi più 13% circa stimato di uve prodotte, in media, sul territorio nazionale, dovrebbe consentirci di recuperare il calo produttivo della scorsa annata, molto penalizzante in termini quantitativi, anche se rimaniamo comunque al di sotto della produzione di due anni fa”. E’ questo il commento di Confagricoltura sui primi dati previsionali elaborati dal proprio Centro studi, sulla base della consueta rilevazione condotta su diverse centinaia di aziende, tra le più prestigiose del panorama vitivinicolo nazionale. Le previsioni sono per un'annata di qualità superiore.

Prosit!

martedì 8 settembre 2015

Consorzio della Mortadella di Bologna



Oggi parliamo della gustosa mortadella bolognese.

La Mortadella Bologna IGP è un prodotto di salumeria realizzato con carne di puro suino, finemente triturata, mescolata con lardo, leggermente aromatizzata con spezie, insaccata e cotta.

Dal luglio 1998, a livello europeo, la denominazione "Mortadella Bologna" è stata riconosciuta quale indicazione geografica protetta (IGP). A seguito di questo riconoscimento, solo la Mortadella Bologna può fregiarsi del marchio IGP, mentre tutte le altre produzioni che non rientrano nelle regole del disciplinare, possono essere commercializzate come mortadella comune e in alcun modo possono usare la denominazione 'Bologna' o la dicitura 'IGP' sui prodotti venduti, anche se erroneamente nel linguaggio comune è uso indicare come 'Bologna' anche la comune mortadella.

La mortadella Bologna IGP, di puro suino, è un insaccato cotto, dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e dal profumo intenso, leggermente speziato.

Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli pregiati (carne e lardelli di elevata qualità), triturati adeguatamente allo scopo di ottenere una pasta fine. Il sapore è pieno e ben equilibrato. Una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa vivo uniforme. La mortadella Bologna emana un profumo particolare e aromatico e il suo gusto è tipico e delicato.

La Mortadella è un prodotto estremamente versatile e utilizzato in diverse preparazioni. Può essere consumata affettata abbinata con il pane o tagliata a cubetti come antipasto.

La Mortadella è protagonista dei piatti della tradizione bolognese: è infatti un ingrediente del ripieno dei tortellini, frullata compone la "spuma di Mortadella", e nel Gran fritto alla Bolognese compare come ingrediente dello Stecco petroniano.

L'utilizzo della mortadella in cucina non si limita alle ricette della tradizione, ma è anche oggetto di ricette e interpretazioni più fantasiose.

Per chi volesse saperne di più: http://www.mortadellabologna.com/

domenica 6 settembre 2015

Luciano Pavarotti



Luciano Pavarotti (Modena, 12 ottobre 1935 – Modena, 6 settembre 2007) è stato un tenore italiano.

È stato tra gli artisti italiani più apprezzati in tutto il mondo grazie alla sua voce, intensa e squillante, nonché per la sua particolare simpatia e comunicatività. La riuscita gestione della propria immagine mediatica è stata tale da influire sul consenso popolare alla musica operistica in generale, che Pavarotti ha tentato di rilanciare nella modernità, anche se il suo operato è stato altresì motivo di pesanti contestazioni.

Con il Pavarotti & Friends e le sue numerose collaborazioni (fra le quali è da ricordare in particolare la costituzione del gruppo dei Tre Tenori, con Plácido Domingo e José Carreras), ha consolidato una popolarità che gli ha dato fama mondiale anche al di fuori dell'ambito musicale, tanto da essere considerato uno dei più grandi tenori italiani di tutti i tempi. Con oltre 100 milioni di copie vendute nel mondo, si stima sia, anche per vendite, fra i primissimi cantanti di ogni genere musicale. Con Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Beniamino Gigli e Tito Schipa, permane uno dei tenori "storici" di notorietà mondiale.

Dotato di voce autenticamente tenorile, assai chiara e, soprattutto nella prima parte della carriera, estesa all'acuto in modo rilevante, fino al pieno possesso del do4 e del re4, nonostante la sua nota più acuta fosse il mi bemolle, non lo incise mai perché non affrontò melodrammi che lo avessero, per cui la nota più acuta intonata è il re4.

Luciano Pavarotti si avvicinò al grande repertorio protoromantico (Donizetti e Bellini), proponendone esecuzioni di rilevanza per certi versi storica. A fronte di una non eccelsa precisione nei confronti dei valori musicali, a causa di risaputi limiti nella preparazione teorica, e senza voler esprimere i caratteri del cantante "virtuoso", il Pavarotti degli anni giovanili, spesso a fianco del soprano australiano Joan Sutherland, eseguiva Lucia di Lammermoor, L'elisir d'amore, La sonnambula, La Favorita, e perfino gli ostici I puritani, in modo gagliardo e personale, riportando queste opere nell'alveo, loro deputato, del Bel Canto, a una ritrovata qualità spettacolare e al gradimento del vasto pubblico.

Significativo l'esito ottenuto ne La fille du régiment: l'opera, da anni uscita dal repertorio corrente, fu nuovamente "imposta" da Pavarotti ai teatri di mezzo mondo alla fine degli anni sessanta, dopo l'exploit vocale con cui la cabaletta del primo atto fu eseguita in tono a voce piena, con l'emissione di nove cristallini do acuti. Sempre nella prima parte della carriera, Pavarotti si distinse anche in Giacomo Puccini, segnatamente in La bohème (sua opera d'esordio, nel 1961) e Madama Butterfly e si accostò in modo intelligente a Verdi, privilegiando le opere più congeniali ai suoi mezzi di allora (Rigoletto, La traviata, Luisa Miller).

A differenza di quanto avvenuto per molti colleghi anche celebri, inoltre, lo scontato passaggio a un repertorio più popolare ma più oneroso (Tosca, Un ballo in maschera, Il trovatore, poi anche Aida e il Verismo) avvenne solo a seguito della spontanea maturazione dell'organo vocale, divenuto negli anni più potente e risonante nei centri (forse anche, si è malignato, grazie a una intelligente forma di amplificazione ambientale che lo accompagnava nei maggiori teatri del mondo, soprattutto negli ultimi anni di carriera) ma, conseguentemente, meno esteso in alto. Se supportato da periodi di preparazione adeguati e da una direzione complessivamente condiscendente, Pavarotti è stato un grande tenore d'opera almeno sino alla fine degli anni ottanta, con buone performance ancora nei primissimi anni novanta.

In quest'epoca, tuttavia, la tendenza a esibirsi in stadi, palasport e parchi, dove poteva fare sistematico ricorso all'amplificazione artificiale e curare meno gli aspetti musicali delle esecuzioni, rivolte per lo più a profani, portava l'artista a semplificare la sua tecnica almeno nell'uso della mezzavoce, ad acuire le imprecisioni nel solfeggio e ad appiattire l'interprete su prove di routine. Nel corso di simili eventi, anche nel celebratissimo "Nessun dorma" dalla Turandot di Puccini, un'opera affrontata in teatro in due sole occasioni e in realtà poco adatta ai suoi mezzi, il nitore degli acuti spesso non riscattava l'insieme della prova. Non fanno eccezione i concerti dei Tre Tenori, nei quali, accanto a Plácido Domingo e José Carreras, Pavarotti, fondandosi sulle proprie straordinarie qualità di bellezza di suono e comunicativa, si esibì in prove di sicuro effetto, ma di esito artistico non assoluto.

Secondo alcuni critici, il tenore modenese, accostandosi sempre più disinvoltamente alla musica leggera in occasione dei Pavarotti & Friends, ha posto "una pietra tombale" sulla propria carriera operistica, condividendo la responsabilità di aver diffuso nel pubblico un gusto ibrido per il cosiddetto "crossover", ossia la pratica, portata poi alla definitiva celebrazione da personaggi come Andrea Bocelli o Sarah Brightman, per cui un cantante lirico si cimenta con il repertorio pop, finendo spesso per trasferirne i malvezzi vocali (approssimazione musicale, suoni spoggiati, ecc.) nell'ambito di provenienza.

Altri invece sottolineano la grande importanza del lavoro "broadcast" di Pavarotti, che ha riportato all'attenzione popolare e universale la lirica. La dimensione del personaggio non ha offuscato il valore professionale dell'artista; inoltre la sua particolare capacità di attrarre l'interesse del più vasto pubblico ha contribuito a mediare verso l'alto il gusto musicale. Il giudizio complessivo sul cantante deve restare di particolare positività: la naturale morbidezza di alcuni suoni in mezzoforte (splendidi ancora in tarda età, ad esempio nei duetti de La bohème del Centenario al Teatro Regio di Torino), la tecnica vocale in origine solida e più raffinata che nella media dei tenori di cartello, tale da garantirgli un registro acuto saldo e luminoso, e perfino, a onta delle dimensioni fisiche, una certa scioltezza sul palcoscenico, ne hanno fatto uno dei tenori più importanti del Ventesimo Secolo.

giovedì 3 settembre 2015

Storia d'Italia: il Rinascimento

Piero della Francesca

Il Rinascimento italiano è la fioritura di quella civiltà culturale ed artistica che, nata a Firenze e da lì diffondendosi in tutta Europa dalla metà del XIV secolo a tutto il XVI secolo, mira a riscoprire la cultura classica antica, per un verso depurandola da alcune forme della religiosità medioevale, per un altro integrandola nello stesso contesto cristiano del Medioevo, sulla scia della rinascita spirituale che si era avuta nel Duecento con le figure di Gioacchino da Fiore e Francesco d'Assisi.

I principali centri dell'Umanesimo-Rinascimento sono Firenze, Ferrara con gli Estensi, Napoli, Roma, Milano, Padova, e Urbino: a Firenze sotto l'egida di Lorenzo il Magnifico, nella città partenopea alla corte aragonese di Alfonso I, a Roma con il colto Enea Silvio Piccolomini, Pio II il papa umanista, e Leone X, a Padova con la prestigiosa Università, a Milano con Ludovico il Moro, a Mantova con i Gonzaga e ad Urbino nella raffinata corte di Federico da Montefeltro. Politicamente l'Umanesimo in Italia si accompagna alla trasformazione dei Comuni in Signorie essendo l'espressione della borghesia che ha consolidato il suo patrimonio e aspira al potere politico. Gli sviluppi dell'Umanesimo rientrano nella formazione delle monarchie nazionali in Europa.

Durante l'epoca rinascimentale emergono già in maniera evidente i differenti livelli di sviluppo economico raggiunti dalle diverse parti della Penisola. Il Nord conobbe una fase di prosperità che lo inserì fra le regioni più ricche d'Europa. Le Crociate avevano consentito di costruire legami commerciali duraturi con l'Asia e in particolar modo la Quarta Crociata aveva permesso a Veneziani e Genovesi di estromettere i rivali bizantini dai traffici nel Mediterraneo orientale. Le principali rotte commerciali passavano infatti attraverso i territori bizantini e arabi e avevano come snodo proprio Venezia, Genova e Pisa. Prodotti di lusso acquistati nel Levante, come spezie, coloranti e sete, venivano importati in Italia e da qui rivenduti in tutto il continente, mentre le merci provenienti dall'Europa continentale quali lana, frumento e metalli preziosi raggiungevano la Penisola attraverso le fiere della Champagne. I traffici lungo l'asse dall'Egitto al Baltico fruttavano ai mercanti italiani ingenti guadagni, che venivano reinvestiti nel settore agricolo e nell'estrazione mineraria.

In questo modo le regioni settentrionali dell'Italia, che non vantavano risorse superiori a quelle di altre aree europee, raggiunsero elevati livelli di sviluppo grazie all'impulso dato dai commerci. Firenze in particolare si affermò come uno dei centri più prosperi grazie soprattutto alla produzione di panni di lana, gestita dall'Arte della Lana, una delle più importanti corporazioni cittadine. La materia prima era importata dal Nord Europa (nel XVI secolo dalla Spagna) mentre i coloranti importati dall'Est erano utilizzati per la fabbricazione di tessuti di alta qualità.

Il Sud invece, nonostante l'unità territoriale realizzata fin dal XII secolo, restava escluso dai grandi traffici commerciali europei. Nel Regno di Napoli non era venuta formandosi una borghesia dinamica ma perduravano le antiche strutture feudali fondate sul privilegio e una tendenza alla concentrazione fondiaria nelle mani di un forte ceto baronale. L'economia era essenzialmente agricola e i livelli di urbanizzazione molto bassi. Inoltre le attività commerciali e finanziarie erano gestite quasi interamente da banchieri stranieri, soprattutto fiorentini e catalani, che concedevano prestiti alla Corona e realizzavano profitti destinati ad essere reinvestiti altrove. L'età rinascimentale fu inoltre interessata da un processo di costante incremento della popolazione seguito al crollo demografico del Trecento, dovuto al flagello della peste bubbonica. L'aumento si verificò in maniera piuttosto generalizzata in tutta Europa e vide l'Italia settentrionale al secondo posto per densità abitativa (40 abitanti per km²) dopo i Paesi Bassi. Nel 1550, nella fase conclusiva del periodo rinascimentale, la città più popolosa d'Italia era Napoli, con circa 210.000 abitanti, seguita da Venezia (160.000), Milano e Palermo (entrambe 70.000).

38. CONTINUA

mercoledì 2 settembre 2015

Carlo Alberto dalla Chiesa



Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale e prefetto italiano. Fondatore del Nucleo Speciale Antiterrorismo, fu vicecomandante generale dell'Arma dei carabinieri e prefetto di Palermo.

Ricoprì incarichi in diverse parti d'Italia: dopo un periodo in Sicilia, venne trasferito prima a Firenze, successivamente a Como e quindi presso il comando della Brigata di Roma. Nel 1964 passò al coordinamento del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d'appello di Milano, che poi unificò e diresse come nuovo gruppo.

Dal 1966 al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. Iniziò particolari indagini per contrastare Cosa Nostra, che nel 1966 e 1967 sembrava aver abbassato i toni dello scontro che si era verificato nei primi anni '60. Nel gennaio 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal sisma, riportandone una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle operazioni, oltre che la cittadinanza onoraria di Gibellina e Montevago.

Nel 1969 riesplode in maniera evidente lo scontro interno tra le famiglie mafiose con la strage di Viale Lazio, nella quale perse la vita il boss Michele Cavataio. Dalla Chiesa intuì la situazione che andava configurandosi, con scontri violenti per giungere al potere tra elementi mafiosi di una nuova generazione, pronti a lasciare sulla strada cadaveri eccellenti.

Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi, promettendogli materiale, che lasciava intendere scottante, sul caso Mattei. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, sotto la direzione di Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia mentre iniziava ad intuire le connessioni tra mafia ed alta finanza. Nel 1971 si trova ad indagare sulla morte del procuratore Pietro Scaglione.

Il risultato di queste indagini fu il dossier dei 114 (1974): come conseguenza del dossier, scattarono decine di arresti dei boss e, per coloro i quali non sussisteva la possibilità dell'arresto, scattò il confino. L'innovazione voluta, però, da Dalla Chiesa fu quella di non mandare i boss al confino nelle periferie delle grandi città del Nord Italia; pretese invece che le destinazioni fossero le isole di Linosa, Asinara e Lampedusa.

Nel 1982 viene nominato dal Consiglio dei Ministri prefetto di Palermo e posto contemporaneamente in congedo dall'Arma. Il tentativo del governo è quello di ottenere contro Cosa Nostra gli stessi risultati brillanti ottenuti contro le Brigate Rosse. Dalla Chiesa inizialmente si dimostrò perplesso su tale nomina, ma venne convinto dal ministro Virginio Rognoni, che gli promise poteri fuori dall'ordinario per contrastare la guerra tra le cosche, che insanguinava l'isola.

Il 12 luglio nella cappella del castello di Ivano-Fracena, in provincia di Trento, sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro.

A Palermo, dove arrivò ufficialmente nel maggio del 1982, lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello Stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì").

In una intervista concessa a Giorgio Bocca, il Generale dichiarò ancora una volta la carenza di sostegno e di mezzi, necessari per la lotta alla mafia, che nei suoi piani doveva essere combattuta strada per strada, rendendo palese alla criminalità la massiccia presenza di forze dell'ordine; inoltre nell'intervista Dalla Chiesa dichiarò: « Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?»

Tali dichiarazioni provocarono in forma ufficiale il risentimento dei Cavalieri del Lavoro catanesi Carmelo Costanzo, Mario Rendo, Gaetano Graci e Francesco Finocchiaro (i proprietari delle quattro maggiori imprese edili catanesi, alle quali si riferiva Dalla Chiesa) e diedero inizio ad una polemica con l'allora presidente della Regione Mario D'Acquisto, che invitò pubblicamente Dalla Chiesa a specificare il contenuto delle sue dichiarazioni e ad astenersi da tali giudizi qualora tali circostanze non fossero state provate.

Nel luglio del 1982 Dalla Chiesa dispose che il cosiddetto "rapporto dei 162" fosse trasmesso alla Procura di Palermo: tale rapporto portava la «firma congiunta» di polizia e carabinieri e ricostruiva l'organigramma delle Famiglie mafiose palermitane attraverso scrupolose indagini e riscontri.

Per la prima volta, con una telefonata anonima fatta ai carabinieri di Palermo a fine agosto, venne annunciato l'attentato al Generale, dichiarando che, dopo gli ultimi omicidi di mafia, «l'operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa». Alle ore 21.15 del 3 settembre 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il Prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata in via Isidoro Carini a Palermo da una BMW, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che uccisero il Prefetto e la moglie. Nello stesso momento l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, veniva affiancata da una motocicletta, dalla quale partì un'altra raffica, che uccise Russo.

Per i tre omicidi sono stati condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. 

martedì 1 settembre 2015

Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia



La Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica è il festival cinematografico che si svolge annualmente a Venezia, Italia, nello storico Palazzo del Cinema, sul Lungomare Marconi, al Lido di Venezia. È il festival cinematografico più antico del mondo, la prima edizione si tenne infatti tra il 6 e il 21 agosto 1932, tuttavia all'Academy Award, comunemente conosciuto come Oscar, spetta il primato per il premio cinematografico assegnato da più tempo: la cerimonia di premiazione si svolge in serata unica dal 1929.

La mostra si inquadra nel più vasto scenario della Biennale di Venezia, evento culturale che include anche la famosa Esposizione internazionale d'arte contemporanea. La 72ª edizione si terrà dal 2 al 12 settembre 2015.

Il premio principale che viene assegnato - assieme a diversi altri - è il Leone d'oro, che deve il suo nome al simbolo della città (il leone della basilica di San Marco). Tale riconoscimento è considerato uno dei più importanti dal punto di vista della critica cinematografica, al pari di quelli assegnati nelle altre due principali rassegne cinematografiche europee, la Palma d'oro del Festival di Cannes e l'Orso d'oro del Festival internazionale del cinema di Berlino. Nel loro insieme, si tratta di tre premi ambiti e di grande impatto, spesso in controtendenza rispetto agli Oscar statunitensi, che si svolgono abitualmente in primavera.

Per chi desidera seguire il programma della Mostra: http://www.labiennale.org/it/cinema/72