mercoledì 26 febbraio 2014

La commedia dell'arte

Sino ad ora abbiamo parlato delle maschere più famose della commedia dell'arte: Arlecchino, Colombina, Brighella, Pantalone ecc.ecc.

Ma che cosa intendiamo per commedia dell'arte?

La commedia dell'arte è nata in Italia nel XVI secolo e rimasta popolare fino alla metà del XVIII secolo, anni della riforma goldoniana della commedia. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli.

Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci detti anche scenari; i primi tempi erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana". 

Nella loro formula spettacolare, i comici della Commedia dell'Arte introdussero un elemento nuovo di portata dirompente e rivoluzionaria: la presenza delle donne sul palcoscenico. In un contratto stipulato con un notaio di Roma, il 10 ottobre 1564, fa la sua prima apparizione una donna: la "signora Lucrezia Di Siena" ingaggiata da una compagnia che si proponeva di far commedie nel periodo di carnevale, probabilmente un personaggio di elevata cultura in grado di comporre versi e di suonare strumenti. Solamente alla fine del secolo le donne avrebbero preso posto a pieno titolo nelle compagnie teatrali.

La definizione di "arte", che significava "mestiere", "professione", veniva identificata anche con altri nomi: commedia all'improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.


Commedia dell'arte con Arlecchino e il Capitano

domenica 23 febbraio 2014

Ventinove anni di fidanzamento

Oggi, 23 febbraio 2014, io e mia moglie Paola, festeggiamo i 29 anni di fidanzamento.

Il 23 febbraio 1985 era un sabato "grasso" di carnevale. Ma entrambi non eravamo in vena di scherzi: ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti ti amo.

Non sapevamo dove quelle due semplici parole ci avrebbero condotto, ma dopo ventinove anni non possiamo fare altro che ringraziare per averle dette. Tantissimi gli avvenimenti che ci sono capitati, alcuni dolorosi, la maggioranza gioiosi, grazie a Dio.

Un solo rimpianto: sono passati troppo in fretta!


18.04.1985 in gita scolastica sulla scalinata della Cattedrale di Bourges


martedì 18 febbraio 2014

Festival di Sanremo

Dal 18 al 22 febbraio si svolgerà la nuova edizione del Festival della canzone italiana, meglio conosciuto come Festival di Sanremo.

Il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, o più comunemente Festival di Sanremo, è una manifestazione di musica leggera che ha luogo nei primi tre mesi di ogni anno a Sanremo, in Italia, a partire dal 1951. Ad esso ha preso parte, in veste di concorrente, ospite o compositore, la quasi totalità dei nomi celebri della canzone italiana. Il Festival, giunto nel 2014 alla sessantaquattresima edizione, rappresenta uno dei principali eventi mediatici italiani, con un certo riscontro anche all'estero, dato che viene trasmesso in diretta sia dalla televisione, in Eurovisione, sia dalla radio, e ad ogni sua edizione non manca di sollevare dibattiti e polemiche.

Pur essendosi susseguite continue modifiche alla sua formula, il Festival consiste essenzialmente in una competizione tra brani selezionati nei mesi immediatamente precedenti da un'apposita commissione, valutando le candidature pervenute. Tali brani, che devono essere stati composti da autori italiani con testi in lingua italiana (od anche in uno dei vari dialetti regionali italiani), vengono proposti da diversi interpreti in prima assoluta, quindi mai eseguiti pubblicamente in precedenza, pena la squalifica. Essi vengono votati da giurie scelte (demoscopiche, di addetti ai lavori, di consumatori) e/o mediante il voto popolare (sotto forma di televoto, ed in passato da giocatori di concorsi di altro genere quali il Totip), e vengono proclamati e premiati i tre brani più votati (in alcuni casi i soli vincitori assoluti) tra quelli in gara nella sezione principale, denominata solitamente degli interpreti Big, Campioni od Artisti (talvolta con ulteriori suddivisioni quali Donne, Uomini, Gruppi e Classic), ed in quella degli esecutori meno conosciuti, detta generalmente Nuove Proposte o Giovani. Vengono assegnati anche altri riconoscimenti speciali, fra cui il Premio della Critica "Mia Martini", decretato dalla stampa specializzata a partire dal 1982.

Spesso il Festival ha avuto anche la funzione di selezione, tramite un'apposita commissione della Rai, dell'artista ed eventualmente del brano che farà da rappresentante dell'Italia all'Eurovision Song Contest dell'anno in corso, manifestazione istituita nel 1956 che trasse proprio dal Festival di Sanremo la sua ispirazione.

La statuetta del Leone di Sanremo è il riconoscimento più prestigioso per i musicisti e gli interpreti italiani.

Originariamente la sede della kermesse era il salone delle feste del Casinò di Sanremo, ed il periodo di svolgimento cadeva intorno alla fine di gennaio, mentre dal 1977 (con esclusione dell'edizione del 1990) si svolge al Teatro Ariston della città ligure, in un periodo che, dal 1988, oscilla tra la metà di febbraio e l'inizio di marzo.

Per essere informati su tutto quello che accadrà in queste cinque incredibili giornate potete collegarvi al sito http://www.sanremo.rai.it

Buona visione a tutti e che vinca il migliore.






domenica 16 febbraio 2014

Brighella

Brighella è una maschera popolare bergamasca della commedia dell'arte. Brighella deve il suo nome al suo carattere attaccabrighe, insolente e dispettoso.

Brighella è il compare di Arlecchino. Entrambi sono i servi della commedia dell'arte, ed entrambi sono nati a Bergamo . Brighella non fa solo il servo come Arlecchino, ma un'infinità di altri mestieri, più o meno leciti ed onesti. Così si ritrova sempre in mezzo a svariati intrighi. Elementi caratteristici del personaggio sono la prontezza e l'agilità della sua mente, per escogitare inganni e preparare trappole in cui far cadere il prossimo, tutto questo solo per il gusto stesso di imbrogliare gli altri. È intrigante, molto furbo e senza scrupoli. Brighella è inoltre un tipo bugiardo, racconta frottole con sicurezza e convinzione che è quasi impossibile distinguerle dalla verità. Inoltre è molto abile nel cantare, suonare e ballare. Viene raffigurato con giacca e pantaloni decorati con galloni verdi; ha scarpe nere con i pon pon verdi. Il mantello è bianco con due strisce verdi, la maschera e il cappello sono neri.

La più antica notizia storica della maschera è il testamento di Sivello del 1601, che assegnò questo nome ad un villano bergamasco. Intorno alla metà del XVII secolo la fama di Brighella fu documentata anche in Francia. Nello stesso periodo venne messa a punto la tenuta di Brighella, parodiante quella di un maggiordomo, mentre il suo carattere venne definito in modo chiaro da Goldoni. Con la diffusione del nome, per merito di Carlo Cantù e Francesco Gabrielli anche il ruolo della maschera si espanse fino ad assumere parti di protagonista. Oltre alle definizioni impartite da Goldoni, si ricordano le antologie di atti scherzosi e buffi brighelleschi ideati da Atanasio Zannoni alla fine del Settecento.




giovedì 13 febbraio 2014

Gianduja

Gianduja (in piemontese Giandoja,) è una maschera popolare torinese di origini astigiane della commedia dell'arte. Il suo nome deriva dalla locuzione Gioann dla doja ovvero Giovanni del boccale.

Gianduia è la maschera del Piemonte e nella tradizione carnascialesca si affianca a quelle medioevali di Balanzone per Bologna, Pantalone per Venezia, Pulcinella per Napoli ecc.

È nato sul finire del 1700 dalla fantasia di due burattinai, Bellone di Oja, frazione di Racconigi, nel cuneese, e del torinese Sales.

In piazza Castello, a Torino, al sabato, davanti a Palazzo Madama (già Porta di Levante di Augusta Taurinorum) si teneva un mercato dove si vendeva e si comperava di tutto, ortaggi, tessuti, attrezzi agricoli, scoiattoli ammaestrati e pappagalli parlanti. Sui banchetti si trovavano pomate miracolose e liquori di lunga vita. In elegante abito nero con cilindro in testa, il luminare della medicina professor “Dulcamara”, assistito dal “dotor” “Santa-man” (santa mano), offriva per 10 centesimi il suo “particolar” “elisir sensa egual, specìfich d’ògni mal, gran ben për l’umanità, l’ha mai guarì, l’ha mai massà!” (ossia il suo elisir senza pari, specifico per ogni male, non ha mai guarito ma non ha neppure ammazzato!).

Burattinaio di fama era Umberto Biancamano noto come Gioanin dj' Osej (Giovannino degli uccelli), felicità dei piccoli e di chi li accompagnava. Erano assidui spettatori Giovanni Battista Sales e Gioacchino Bellone, facili alle risate ed alle battute di spirito. I due giovani decisero di fare altrettanto, muovere burattini di legno e recitare frasi spiritose contro il malgoverno. Rispolverarono un copione del 1600 che raccontava le disavventure di Gironi, sprovveduto contadino alle prese con la burocrazia del potere: sagaci freddure e tante bastonate in testa. La gente si divertiva ed applaudiva. Aggiornarono le battute obsolete con una sottile critica ai costumi ed alla politica del primo 1800.

Confortati dal successo si misero in tournée. Tennero spettacoli un po’ ovunque arrivando nel 1802 a Genova. Il pubblico sorrideva alle disavventure di Giròni, specialmente quando si tirava in ballo il potere costituito ligure. Infatti il doge di Genova si chiamava Gerolamo Durazzo ed i genovesi lo identificavano nella marionetta Giròni, che ne ridicolizzava il nome.

Arrivarono altri spettatori e con loro la polizia che li arrestò. L'accusa fu pesante: ingiuria nei confronti del doge. Le marionette furono bruciate con la baracca e Sales e Bellone furono espulsi dalla città e accusati di lesa maestà. Prima di andarsene si fecero intagliare nuovi burattini dal celebre scultore Pittaluga, e coi novelli personaggi i due tornarono a Torino ed impiantarono un teatrino nel cortile dell’Albergo del Pastore, in via Dora Grossa, oggi via Garibaldi.

Qui presentarono “La storia di Artabano 1°, ossia il Tiranno del Mondo, con Gerolamo suo confidente e re per combinazione”. Si scatenò il finimondo: le battute erano spassose, ma il reverendo Baudissone, deputato a controllare le licenziosità della città, le interpretò come gravi offese al fratello di Napoleone, che, come il doge di Genova, si chiamava pure lui Gerolamo. I due poveri burattinai furono nuovamente denunciati per lesa maestà. Al processo ripeterono le frasi incriminate: “Liberté egalité fraternité, ij fransèis a van an caròssa e noi a pe"! E poi ancora: “Viva la Fransa viva Napoleon, chiel a l’é rich, e noi ëstrasson”. ("Libertà eguaglianza fraternità, i francesi vanno in carrozza e noi a piedi". "Viva la Francia, viva Napoleone, lui è ricco e noi straccioni".) Nel tribunale il pubblico divertito esplose in fragorose risate, ma non i giudici decisamente infuriati. Accusati di aver tramato contro lo Stato i due furono condannati a morte e rinchiusi nelle Torri Palatine, ma riuscirono a fuggire.

Raggiunsero Asti e chiesero aiuto alla famiglia De Rolandis di Castell'Alfero, ancora fortemente provata per la morte di Giovanni Battista che a Bologna, con Luigi Zamboni, aveva cercato di sollevare la città distribuendo coccarde tricolore, simbolo di una nuova Italia. Bellone e Sales furono ospitati e nascosti a Callianetto, piccola frazione di Castell'Alfero, in un cascinale isolato, dell’allora medico Alessandro Giuseppe De Rolandis, fratello del defunto Giovanni Battista. La fattoria era in una folta selva che ancora oggi si chiama bòsch dël medich (la foresta del medico). Questa casa - oggi proprietà del comune di Castell'Alfero - detta 'l Ciabòt ëd Giandoja - è sede di interessanti attività turistiche.

Qui i due scrissero un nuovo canovaccio, cambiarono il pericoloso nome di Giròni in Giandoja e mutarono anche il suo linguaggio che riassunse il carattere del popolo piemontese, alquanto conservatore (bogianen, ovvero immobile), ma di ottimo umore, fedele al dovere e alla parola data. Non più battute in libertà, come recitava "Gioanin dij'Osej", ma una chiara critica politica, per portare avanti l’idea del Risorgimento e dell’Unità d’Italia anche attraverso il teatrino dei burattini. Il nuovo Gianduja aveva un viso rubicondo e la parrucca col codino volto all'insù, vestito con un giubbetto color marrone orlato di rosso, panciotto giallo, calzoni verdi e corti fino al ginocchio, calze rosse e scarpe basse con fibbia d'ottone. Era la fine del 1807. Sul tricorno era ben visibile la coccarda tricolore, la stessa conservata oggi nel museo dell’Università di Bologna, la medesima che a Reggio Emilia e a Modena era stata applaudita nel 1797 come vessillo della nuova Italia.
  
Gianduia da allora è rimasto sulle scene con quel suo fare sornione, col boccale pieno di vino, il volto rubicondo, il sorriso benevolo. Attraverso la penna del caricaturista Casimiro Teja e di tanti altri, gli scritti di Angelo Brofferio, Gec (Enrico Gianeri), Fulberto Alarni, e con l'avvento dei giornali satirici. L'Aso (l'asino), Il Fischietto, L'Armonia, Il Bastone, Il Soldo, Pasquino, 'l Caval d' Brons, i supplementi della Gazzetta del Popolo, le edizioni della Famija turinèisa, Gianduia stimolò realmente le decisioni del Parlamento Subalpino, mettendosi in continua contrapposizione con personaggi del calibro di Cavour, Mazzini e d'Azeglio. La sua gloriosa storia richiamò fortemente l'evoluzione della Penisola, e un continuo incitamento per gli italiani all'unità nazionale, tutti partecipi ad una medesima patria.

Molti autori hanno cercato di dare un significato al nome “Gianduia”. Due le ipotesi più attendibili: Giandoja come contrazione di Gioanin dla doja (doja recipiente per il vino), oppure un gentile atto di riguardo di Sales verso l’amico Bellone, Gioanin d’Oja, “Oja” frazione di Racconigi. Un mistero questo che rimane rigorosamente oggetto di logorroiche discussioni, ma solo nel periodo di carnevale.

Dal suo nome deriva quello della cioccolata di tipo gianduia e del relativo cioccolatino gianduiotto con la quale è confezionato, entrambi specialità torinesi. I cioccolatini venivano distribuiti dalla maschera durante la festa del carnevale; probabilmente per lo stesso motivo il nome Gianduja è stato dato alle grosse caramelle a forma di cialda incartate in caratteristici involucri esagonali.





lunedì 10 febbraio 2014

Le Castagnole

Le castagnole sono un dolce carnevalesco diffuso in tutta Italia; fa parte della tradizione culinaria ligure, emiliana-romagnola, marchigiana, laziale, umbria meridionale (con la variante detta "strufoli" nell'Umbria settentrionale), veneta, lombarda.

Impastati gli ingredienti principali uova, zucchero, farina e burro si formano delle palline che vengono poi fritte in olio bollente. Vengono servite con zucchero a velo o, in alcune varianti, anche con alchermes o miele. Ne esistono due varianti: una senza ripieno ed un'altra con ripieno alla crema pasticcera o alla panna. Altra variante è quella che prevede la cottura al forno.

La ricetta delle castagnole è sicuramente molto antica: è stato ritrovato nell'archivio di stato di Viterbo un volume manoscritto del Settecento in cui sono descritte ben quattro ricette di castagnole, di cui una prevede la cottura al forno, che quindi non è stata adottata recentemente nell'intento di rendere il dolce più leggero, come spesso si crede.

Una ricetta per le castagnole: eccola: http://ricette.giallozafferano.it/Castagnole.html



sabato 8 febbraio 2014

Le chiacchiere

Le chiacchiere sono un tipico dolce italiano, chiamato anche con molti altri nomi regionali. Sono tipici dolci di carnevale.
Hanno la forma di una striscia, talvolta manipolata a formare un nodo (in alcune zone prendono infatti il nome di fiocchetti). Sono fatte con un impasto di farina che viene fritto o cotto al forno e successivamente spolverato di zucchero a velo.
Le chiacchiere sono conosciute con nomi differenti nelle diverse regioni italiane:

- bugie (Genova, Torino, Asti, Imperia), italianizzazione del ligure böxie;
- cenci o crogetti (Toscana);
- strufoli o melatelli (se con miele) zona Grosseto, Massa Marittima (Toscana);
- chiacchiere (Basilicata, Sicilia, Campania, Lazio, Alto Sangro nell'Abruzzo meridionale, Umbria, Puglia, Calabria, a Milano, La Spezia, Massa, Carrara, Sassari e Parma);
- cioffe (Sulmona, centro Abruzzo);
- cróstoli o cróstołi o gròstoi (Ferrara, Rovigo, Vicenza, Treviso, Trentino, Friuli, Venezia Giulia);
- crostoli o grustal (Ferrara);
- cunchiell' o qunchiell (Molise);
- fiocchetti (Montefeltro e Rimini);
- frappole (Bologna);
- frappe (Roma, Viterbo, Perugia e Ancona);
- gałàni o sosole (Venezia, Verona, Padova);
- gale o gali (Vercelli e Bassa Vercellese);
- gasse (Basso Alessandrino);
- guanti (Caserta);
- gròstołi o grostoli (Trento);
- intrigoni (Reggio Emilia);
- lattughe o latǖghe (Mantova);
- maraviglias (Sardegna);
- rosoni o sfrappole (Modena, Bologna, Romagna);
- saltasù (Brescia);
- sfrappe (Marche);
- sprelle (Piacenza);
- risòle (Cuneo e sud del Piemonte);

Una ricetta per le chiacchiere: la trovate qui:  http://ricette.giallozafferano.it/Chiacchiere.html








giovedì 6 febbraio 2014

Balanzone

Balanzone (da balanza, bilancia, allegoria della Giustizia), conosciuto anche con il nome di Dottor Balanzone, è una maschera di origine bolognese. Appartiene alla schiera dei "vecchi" della commedia dell'arte, talvolta è chiamato Dottor Graziano o semplicemente il Dottore. Nella versione goldoniana de Il servitore di due padroni prende il nome di Dottor Lombardi.

Nativo dell'Emilia, dove ha compiuto gli studi, è il classico personaggio "serio", sapientone e presuntuoso che si lascia andare spesso in verbosi discorsi infarciti di citazioni colte in latino maccheronico.

Uomo dalle guance rubizze, veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; è solito gesticolare molto, ma i suoi gesti sono sempre pacchianamente autorevoli ed eloquenti. Calza una piccola maschera che ricopre solo le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due grandi baffi. Indossa la divisa dei professori dello Studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello.

Pignolo, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di consigli inappropriati, è sempre pronto a trovare ogni minima scusa per iniziare uno dei suoi infiniti sproloqui "dotti" a suon di parole storpiate e discorsi ampollosi ma senza senso. Sempre pronto a vantarsi dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza umana: legge, medicina, astrologia, filosofia; di esse parla in maniera noiosa, mescolandole in un groviglio inestricabile.

Gode di molta stima tra le altre maschere che spesso si rivolgono a lui per un parere medico: egli non nega il suo aiuto ma sempre coglie l'occasione per fare la cosa che più gli piace: parlare ed elargire pareri di nessun valore.



lunedì 3 febbraio 2014

Il Capitano

Il capitano è una delle più antiche maschere della commedia dell'arte.

La sua genesi risale al Pirgopolinice del Miles gloriosus di Plauto e al Trasone dell'Eunuco di Terenzio.

Rinato in altre forme nel teatro italiano del 1500, impersonificava a volte il soldato di nobili sentimenti ed estroso o il vanaglorioso spaccone che si vantava di titoli non posseduti e di imprese mai compiute: in entrambi i casi malcelava in realtà il terrore di dover affrontare una battaglia o un duello, contrariamente a quanto invece affermava di continuo a parole.

Con la dominazione spagnola dell'Italia e dopo la discesa di Carlo V, il capitano assunse sempre più i connotati del soldato spagnolo, acquisendo dizione e modi di dire prettamente iberici. Viene quindi portato in scena più volte contrapposto ai Mori o come zimbello di una farneticante vanagloria attribuita al soldato spagnolo, notoriamente malvisto dagli italiani che ne deprecavano la prepotenza e l'arroganza.

Il vestito ricorda le divise dei soldati spagnoli dell'epoca, arricchito però da ninnoli e nastri e molto variopinta. Ha un grosso naso e vistosi baffoni: un elemento comune alle successive variazioni della maschera rimarrà il grande spadone che trascina rumorosamente ed in maniera impacciata al suo fianco. A volte porta un elmo con uno stemma raffigurante un porcospino a memoria dell'assedio di Trebisonda nel quale la sua corazza viene trafitta dalle frecce del nemico tanto da farlo sembrare un porcospino.

Celebri capitani del palco furono Francesco Andreini con Capitan Spaventa e Silvio Fiorillo con Capitan Matamoros, che tratteggiarono due personaggi con la stessa derivazione ma estremamente differenti tra di loro. Mentre Capitan Matamoros è borioso, spaccone e sostanzialmente ridicolo (in ordine cronologico è successivo alla maschera di Andreini), Capitan Spaventa è la controparte seria e sognatrice di nobile animo e alti sentimenti, quasi un sognatore.

Ispirate alla maschera sono numerosi varianti come Capitan Corazza, Capitan Cardone, Rinoceronte, Terremoto, Spezzaferro, Spaccamonti, Capitan Rodomonte. Sempre al capitano sono riconducibili poi numerose derivazioni della maschera adottate dal carnevale napoletano o più in generale dalla letteratura, come Capitan Fracassa.