domenica 31 gennaio 2016

Maschere di carnevale


L'Italia ha una grande ricchezza di maschere regionali di Carnevale, di origine diversa: sono nate dal teatro dei burattini, dalla Commedia dell'arte, da tradizioni arcaiche, oppure sono state ideate appositamente come simboli dei festeggiamenti carnevaleschi di varie città.

È generalmente accettato che le maschere, il rumore, il colore e il clamore avessero avuto in origine lo scopo di scacciare le forze delle tenebre e l'inverno, e di aprire la strada per l'arrivo della primavera.

Abruzzo

La maschera ufficiale della regione è Frappiglia, che riuscì ad ingannare persino il diavolo, ma che ancora porta i segni del suo viaggio all'inferno. Si deve ricordare anche Patanello, di Francavilla al mare, e il Pulcinella abruzzese.

Basilicata

La Basilicata ha maschere legate alla tradizione arcaiche e contadine, a volte legate al personaggio dell'uomo selvatico. Le zoomorfe maschere del Toro e della Mucca compaiono durante il Carnevale di Tricarico. Tipici del Carnevale di Satriano sono i particolarissimi Rumit, sorta di alberi semoventi che provengono dai boschi ed invadono il paese, l'Urs e la Quaresima. I Campanacci caratterizzano invece il carnevale di San Mauro Forte e il carnevale di Montescaglioso. In quest'ultimo centro tra le tante maschere si ricordano anche la quaremma, il cucibocca, u' zembr, u' fus’ (o "la parca") e ’u zit’ e ’a zita.

Calabria

La maschera calabrese è Giangurgolo, che da una parte mette in ridicolo le persone che imitavano i cavalieri siciliani "spagnoleggianti", ma che ha anche tratti diversi, legati ad una leggenda catanzarese. In essa lotta coraggiosamente contro l'occupazione spagnola e viaggia con un carrozzone da teatro col quale, insieme ad alcuni suoi amici, propone spettacoli satirici incitando il popolo alla rivolta. È una maschera della Commedia dell'arte.

Campania

la maschera napoletana di Pulcinella è simbolo ovunque del carnevale italiano. Impersona il carattere napoletano in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi. Sono campane però anche le maschere di Tartaglia e di Scaramuccia. Queste tre maschere sono personaggi della Commedia dell'arte. Tipici del carnevale di Teora sono gli squacqualacchiun.

Emilia Romagna

Celebre maschera bolognese è il Dottor Balanzone, professore sapientone e presuntuoso, proveniente dalla Commedia dell'arte; sono del capoluogo regionale anche maschere originarie del teatro dei burattini: Fagiolino, sua moglie Brisabella, il suo amico Sganapino e Flemma. Di Modena è invece Sandrone, sua moglie Pulonia e suo figlio Sgorghìguelo, di Parma lo Dsevodd, di Cento è Tasi, di Castelnuovo il Cstlein, di San Giovanni in Persiceto sono Bertoldo, capace di rispondere solo per le rime e di salvarsi dagli impicci con imbrogli e buffonate, suo figlio Bertoldino e sua moglie la Marcolfa.

Friuli Venezia Giulia

Tipici della regione sono i carnevali alpini, con le maschere dei Blumari (a Pulfero), i Maschkar e gli Jutalan (a Timau), te lipe bile maškire (“belle maschere”, a Resia); di Sauris sono i demoniaci babaci o kukaci, le Scheintena schembln e le Scheana schembln. Diffusa in tutto il Friuli è la figura del pust. Passando alla zona giuliana si ricorda la maschera tipica di Monfalcone: il Sior Anzoleto Postier.

Lazio

Maschera romanesca nota in tutta Italia è Rugantino, che ha avuto varie evoluzioni e che impersona il romano tipico; originariamente era un burattino. Ha ispirato una notissima commedia musicale; a lui si affiancano Nina e Meo Patacca, originari del teatro popolare. Tutte e tre le maschere, ma anche il napoletano Pulcinella e il generale Mannaggia La Rocca sono maschere tipiche del carnevale di Roma, un tempo evento irrinunciabile del Grand Tour che i giovani viaggiatori europei effettuavano in Italia.

Liguria

In genere si riferisce alla Liguria la maschera di Capitan Spaventa, della Commedia dell'arte, ma sono tipiche anche le maschere genovesi di Baciccia della Radiccia e del suo fidato amico Barudda, nati come burattini. Altre importanti maschere cittadine sono Cicciulin (di Savona), Becciancin (di Loano) e Nuvarin (di Cairo Montenotte).

Lombardia

Meneghino, accompagnato da sua moglie Cecca di Berlinghitt; Beltrame è un'altra maschera milanese, di origine più antica. La Lombardia è patria del celeberrimo Arlecchino, simbolo, insieme al napoletano Pulcinella, del carnevale italiano; come Brighella, è una maschera proveniente dalla Commedia dell'arte ed originario di Bergamo. Si devono citare anche i bej (belli), i brüt (brutti) e il Sapor (un uomo selvatico) di Schignano, Gioppino, di Bergamo, il Gagèt col sò uchèt, di Crema, Tarlisu, dal 1983 maschera di Busto Arsizio, e (dal 1956) Pin Girometta, di Varese. Tipico del carnevale di Castel Goffredo dal 1872 è Re Gnocco, mentre i balarì e i maschèr caratterizzano il carnevale di Bagolino.

Marche

Una regione come le Marche, in cui ogni sia pur piccolo centro ha carattere indipendente di città, ha maschere tipiche a seconda della zona. Mosciolino, simbolo del carnevale anconitano, ha affiancato le maschere tradizionali di Papagnoco, contadino fustigatore dei liberi costumi cittadini, e di Burlandoto (originariamente dei burattini). Il Rabachen ("baccano") e la sua compagna Cagnera ("lite") sono le maschere del carnevale di Pesaro; il guazzaró è invece la maschera che si indossa durante il carnevale di Offida, derivata dall'abito da lavoro che i contadini usavano per svinare e pulire le botti. Maschera del Carnevale di Ascoli Piceno è lu sfrigne, pezzente che si ripara con un ombrello da cui pendono aringhe.

Molise

Il Molise è una regione in cui le maschere tradizionali sono legate ad un folclore arcaico: i tre folletti (detti anche Monaci, in quanto travestiti da frati) che tengono in catene il Diavolo di Tufara e di Toro; l'Uomo-cervo, la Donna-cervo e Martino di Castelnuovo al Volturno; l'Uomo-orso di Jelsi. Queste ultime maschere sono collegate alla figura dell'Uomo selvatico. Non ultimo per importanza, tra le maschere regionali figura Larinella, simbolo del Carnevale di Larino

Piemonte

È piemontese una delle più celebri maschere italiane: Gianduia, sempre accompagnato da sua moglie Giacometta; entrambi originariamente erano dei burattini. Maschere piemontesi sono anche gli sposi Stevulin 'dla Plisera e Majutin del Pampardù, del carnevale di Santhià, e Gagliardo Aulari, personaggio storico medievale divenuto la maschera carnevalesca di Alessandria. Nelle Alpi piemontesi sono diffuse le maschere tipiche dei carnevali alpini: orsi, lupi ed uomini selvatici.

Puglia

Tra le più note maschere carnevalesche pugliesi c'è Farinella, del Carnevale di Putignano, un giullare con un abito a riquadri multicolori. Nel Salento c'è ricchezza di maschere: lu Pagghiuse e Gibergallo di Massafra; u Titoru di Gallipoli, ù panzòne, la vecchiaredd e ù scerìff di Corato, lu Sciacuddhuzzi di Aradeo, lu Casaranazzu di Casarano. Si ricorda anche Ze' Peppe del Carnevale di Manfredonia. A Foggia le maschere di carnevale tipiche sono sette: 'u Moneche cercande, 'a Pacchianèlle, Menille, Ursitte stagnarille, Sciammi sciamme, Zechille, Peppuzze.

Sardegna

La Sardegna è ricchissima patria di numerose maschere dai tratti arcaici e la cui tradizione è sempre viva. Queste maschere infatti descrivono riti sacri richiamanti i temi più importanti per una civiltà arcaica e per molti tratti preistorica tra cui possiamo ricordare: la fertilità, la vita, la morte, il demonio, la lotta tra animali, l'addomesticamento degli animali(simbolo di come attraverso la forza, l'uomo domina su un altro uomo). Si possono contare più di 35 maschere tradizionali, che le consegnano il primato nel territorio nazionale e tra le più note ci sono i suggestivi Mamuthones e gli Issohadores del carnevale di Mamoiada e gli affascinanti Boes e Merdules, che con l'enigmatica sa Filonzana sono le maschere del carnevale di Ottana.

martedì 26 gennaio 2016

Dea di Morgantina



La Dea di Morgantina è una statua proveniente da uno scavo clandestino, pertanto non identificabile con certezza, probabilmente un santuario non lungi il sito archeologico di Morgantina (provincia di Enna), in Italia.

È esposta al Museo archeologico di Aidone in seguito ad un contenzioso protrattosi per anni tra l'Italia e gli Stati Uniti, causato dal precedente acquisto illecito dell'opera da parte del Paul Getty Museum di Malibu.

La dea fu scolpita nel V secolo a.C. in Sicilia: l'autore sarebbe un discepolo di Fidia, operante nella Magna Grecia. La statua fu trafugata dal sito archeologico di Morgantina nella seconda metà del Novecento, per essere poi venduta al Paul Getty Museum che l'acquistò e la espose nel 1988. Fu acquistata ad un'asta a Londra per 28 miliardi di lire.

Il 5 marzo del 2001, il Tribunale di Enna condannò il ricettatore ticinese Renzo Canavesi a due anni di reclusione e al pagamento di una penale di 40 miliardi di lire: fu il primo caso nella normativa italiana dell'applicazione di una sanzione così ingente per l'esportazione clandestina di un reperto archeologico suddivisi per metà al valore stimato della statua per un'altra metà ai danni morali. Secondo la ricostruzione dei magistrati di Enna, Canavesi avrebbe venduto la statua all'inizio degli anni ottanta per 400.000 dollari alla società londinese Robing Symes, che l'avrebbe rivenduta in seguito al Paul Getty Museum nel 1986, per 10 milioni di dollari. Lo stesso tribunale accertò - grazie ad una perizia petrografica sulla statua - che il calcare impiegato proveniva dalla Sicilia, precisamente da una cava (pirrera) della riva sinistra del fiume Irminio, a pochi chilometri dalla foce nei pressi di Marina di Ragusa, anticipando così l'esito degli accertamenti scientifici che il Paul Getty Museum ha compiuto prima di annunciare la restituzione della statua all'Italia.

Il 17 marzo 2011, nel 150º anniversario dell'Unità Nazionale, la Dea di Morgantina è stata restituita all'Italia ed esposta al pubblico dal 17 maggio 2011 al Museo archeologico di Aidone.

La statua è alta 2,24 m e sarebbe stata scolpita tra il 425 a.C. e il 400 a.C., periodo nel quale la città di Morgantina venne assegnata a Kamarina, dopo gli accordi di Gela (424 a.C.) voluti da Ermocrate di Siracusa. Si tratta di uno pseudo-acrolito tecnica già sperimentata in Magna Grecia e soprattutto in Sicilia, anche per la realizzazione delle metope blank del tempio E di Selinunte (450 a.C.), avente il corpo realizzato in calcare colorato proveniente da una cava iblea, e le parti nude (testa, braccia, piedi) in marmo pario. La statua è lavorata nei minimi dettagli anche nella parte posteriore, dove il panneggio è riccamente caratterizzato: ciò farebbe pensare ad un'esposizione dell'opera su un piedistallo.

Da un punto di vista stilistico la statua rientra nel cosiddetto stile ricco post-fidiaco, diffusosi in Grecia durante gli anni della guerra del Peloponneso: è evidente dal cosiddetto "effetto bagnato" della veste sul torso, che mette in risalto i lineamenti del corpo, e dal ricco panneggio a formare ampie pieghe, un dettaglio visibile solo lateralmente o posteriormente. Queste caratteristiche sono presenti anche in altre statue contemporanee o di poco più antiche, come la Nike di Paionios ad Olimpia o le Vittorie del Tempio di Atena Nike ad Atene. La testa non è rifinita nella parte posteriore ma è solamente abbozzata, probabilmente perché ricoperta da uno strato di stucco su cui era posizionata una parrucca o un copricapo.

Per informazioni sul sito archeologico:

domenica 24 gennaio 2016

Storia d'Italia: la dominazione spagnola

Caravaggio, Vocazione di san Matteo

L'egemonia spagnola in Italia venne ratificata dalla pace di Cateau-Cambrésis. La Spagna esercitò da allora, e fino al 1714, il dominio diretto su tutta l'Italia meridionale ed insulare, sul Ducato di Milano e sullo Stato dei Presidii nel sud della Toscana. Lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova ed altri stati minori furono costretti di fatto ad appoggiare la politica imperiale spagnola. Il Ducato di Savoia, tendente a convertirsi in ago della bilancia fra Francia e Spagna, divenne nella realtà dei fatti un campo di battaglia fra queste due potenze. Solo la Repubblica di Venezia riuscì a conservare una relativa indipendenza che però non fu sufficiente a preservarla da una lenta ma inesorabile decadenza.

In età moderna, l'Italia, e, più in generale, tutta l'Europa meridionale, ebbe a soffrire dello spostamento delle grandi rotte commerciali dal Mediterraneo all'Atlantico, chiaramente percepibile a partire dagli ultimi decenni del Cinquecento. Le devastazioni belliche a seguito della guerra dei trent'anni colpirono soprattutto l'Italia settentrionale: il principale di questi scontri che vide contrapposti gli interessi imperiali a quelli francesi fu la guerra di successione di Mantova e del Monferrato. La forte pressione fiscale esercitata dalla Spagna sui suoi domini, dovuta alle esorbitanti spese di guerra, invece si fece sentire con gravissime conseguenze in tutto il meridione ed in Lombardia, mentre i vuoti lasciati dalla grave pestilenza del 1630 ebbero effetti devastanti sull'economia italiana del tempo. È un dato di fatto che fin dal quarto decennio del XVII secolo quasi tutta l'Italia era passata ad essere un'area con gravi problemi di sottosviluppo economico, politicamente amorfa, socialmente disgregata. Fame e malnutrizione regnavano incontrastate in molte regioni peninsulari e nelle due isole maggiori.

Il declino culturale dell'Italia non marciò di pari passo con quello politico, economico e sociale. È questo un fenomeno riscontrabile in molti paesi, Spagna compresa. Se nel Cinquecento il Rinascimento italiano produsse i suoi frutti più maturi e si impose all'Europa del tempo, l'arte ed il pensiero barocchi, elaborati a Roma a cavallo fra Cinquecento e Seicento avranno una forza di attrazione ed una proiezione internazionale non certo inferiori. È comunque un dato di fatto che ancora per tutta la prima metà del Seicento ed oltre, l'Italia continuò ad essere un paese vivo, capace di elaborare un pensiero filosofico (Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Paolo Sarpi) e scientifico (Galileo Galilei, Evangelista Torricelli) di altissimo profilo, una pittura sublime (Caravaggio), un'architettura unica in Europa (Gianlorenzo Bernini, Borromini, Baldassare Longhena, Pietro da Cortona) ed una musica, sia strumentale (Arcangelo Corelli, Girolamo Frescobaldi, Giacomo Carissimi) che operistica (Claudio Monteverdi, Francesco Cavalli) che fece scuola. A questo proposito ricordiamo che il melodramma è una tipica creazione dell'età barocca.

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domenica 17 gennaio 2016

I falò di sant'Antonio Abate



Oggi in moltissimi comuni d'Italia si festeggia sant'Antonio Abate.

Il santo, detto anche sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.

A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel loro calendario, al 22 del mese di Tuba.

Sant'Antonio fu presto invocato in Occidente come patrono dei macellai e salumai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; fu reputato essere potente taumaturgo capace di guarire malattie terribili.

Inoltre tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono posti sotto la protezione di sant'Antonio, in onore del racconto che vedeva il Santo addirittura recarsi all'inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori.

E' impossibile citare tutte le cerimonie e le feste che si svolgono in Italia in onore di sant'Antonio. 

Ricordiamo, una per tutte, la festa che si svolge in provincia di Viterbo, a Bagnaia, una frazione del capoluogo laziale. Qui viene accesa un'enorme catasta di legna, alta oltre 8 metri per circa 30 metri di circonferenza, che brucia per tutta la notte compresa tra il 16 gennaio ed il 17 gennaio.

giovedì 14 gennaio 2016

Carnevale di Acireale



Il carnevale di Acireale, definito Il più bel Carnevale di Sicilia e il terzo d'Italia, è uno dei più antichi dell'isola, e si svolge ogni anno nella città di Acireale in provincia di Catania. Tra le sue caratteristiche vi è la sfilata dei carri allegorici ed infiorati.

I carri allegorico-grotteschi in cartapesta sono opere finemente lavorate, che danno il loro spettacolo attraverso migliaia di lampadine e luci, movimenti spettacolari e scenografie in continua evoluzione durante le esibizioni. Sono gli unici carri al mondo ad utilizzare simili impianti di luci e movimenti meccanici ed idraulici.

I carri infiorati hanno la caratteristica, simile a quella di diversi carnevali della Costa Azzurra e della Liguria, di mostrare soggetti creati interamente con fiori (veri) disposti uno a fianco all'altro. Sono anch'essi dotati di movimenti meccanici e luci.

Il carnevale di Acireale ha origini antichissime. Si pensa, infatti, che la manifestazione sia nata spontaneamente fra la gente e quindi ripetuta negli anni dal popolo, che libero dai rigidi vincoli, poteva con una certa libertà scherzare, dando luogo a saturnali in maschera dove era uso prendere di mira i potenti del tempo con satira e sberleffi. Una delle prime maschere del carnevale fu l'Abbatazzu (detto anche Pueta Minutizzu) che, portando in giro grossi libri ironizzava sulla classe clericale del tempo, ed in special modo sull'Abate-Vescovo di Catania, nella cui diocesi ricadeva per l'appunto la cittadina.

Il primo documento ufficiale che cita la manifestazione è un mandato di pagamento del 1594

Nel XVII secolo era usanza fare una Battaglia di arance e limoni tanto sentita che il 3 marzo del 1612 la Corte Criminale era costretta a bandirla. Alle fine del XVII secolo, il terremoto che sconvolse la Sicilia Orientale (Terremoto del Val di Noto) decretò anche un periodo di lutto e per diversi anni il tradizionale carnevale non si tenne. Ma già ai primi del XVIII secolo la manifestazione rinasceva, probabilmente anche incoraggiata dal momento di grande fermento e di speranze che si era venuto a creare con la ricostruzione post-sisma. Entrarono in scena alcune maschere nuove u baroni (il barone) ed i famosissimi Manti.

Dal 1880 iniziarono le sfilate dei carri allegorici. Inizialmente furono preceduti delle carrozze dei nobili addobbate (detti le cassariate o landaus) e successivamente vennero pensati i carri in cartapesta. Si pensò proprio alla cartapesta perché in città vi erano molti artigiani che già utilizzavano questa tecnica per decorazioni.

Dal 1929, anno della istituzione della azienda autonoma e stazione di cura di Acireale, il Carnevale viene organizzato così come lo si può ammirare oggi. Dal 1930 vennero introdotte le macchine infiorate, ovvero auto addobbate di fiori, altra peculiarità della manifestazione che sopravviverà sino ai giorni nostri, pur se ormai allestiti in carri ben più grandi.

In alcune edizioni verranno anche creati dei carri addobbati con agrumi.

Del 1934 è la prima edizione del Numero Unico, a cura del locale Circolo Universitario una pubblicazione destinata ad accompagnare tutte le edizioni. Nel secondo dopoguerra vi sarà la introduzione dei minicarri (detti Lilliput) all'interno dei quali vi era un bambino. L'usanza dei minicarri durerà però solo sino alla fine degli anni Sessanta. Cola Taddazzu e Quadaredda, ai quali successe il popolarissimo Ciccitto (l'indimenticato Salvatore Grasso) furono alcuni dei personaggi più famosi.

Per chi volesse informazioni sugli appuntamenti: http://www.carnevaleacireale.com/

domenica 10 gennaio 2016

Mantova: Palazzo Te

La sala dei Giganti all'interno di Palazzo Te

Ricordiamo per gli amici lettori che ancora non lo sapessero, che Mantova è stata nominata città italiana della cultura per il 2016.

Oggi impariamo a conoscere meglio uno dei monumenti più famosi della città dei Gonzaga: Palazzo Te.

Costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, è l'opera più celebre dell'architetto italiano Giulio Romano. Il complesso è oggi sede del museo civico e, dal 1990, del Centro internazionale d'arte e di cultura di palazzo Te che organizza mostre d'arte antica e moderna e d'architettura.

Le prime testimonianze in merito alla presenza della fabbrica del Te si hanno nel 1526, quando viene citato un edificio in costruzione che sorge vicino alla città, tra i laghi, sulla direttrice della Chiesa e del Palazzo di San Sebastiano.

La zona risultava paludosa e lacustre, ma i Gonzaga la fecero bonificare e Francesco II la scelse come luogo di addestramento dei suoi pregiatissimi e amatissimi cavalli. Morto il padre e divenuto signore di Mantova, Federico II, suo figlio, decise di trasformare l'isoletta nel luogo dello svago e del riposo e dei fastosi ricevimenti con gli ospiti più illustri, dove poter “sottrarsi” ai doveri istituzionali assieme alla sua amante Isabella Boschetti.

Abituato com'era stato sin da bambino all'agio e alla raffinatezza delle ville romane, trovò ottimo realizzatore della sua idea di “isola felice” l’architetto pittore Giulio Romano e alcuni suoi collaboratori. Alternando gli elementi architettonici a quelli naturali che la zona offriva, decorando sublimemente stanze e facciate, l’architetto espresse tutta la sua fantasia e bravura nella costruzione di palazzo Te.

A inaugurare ufficialmente Palazzo Te nel 1530 fu l'Imperatore Carlo V che vi trascorse un'intera giornata; con l'occasione conferì a Federico II Gonzaga il titolo di duca perché fino ad allora i Gonzaga erano stati dei marchesi.

Pare che il palazzo fosse, in origine, dipinto anche in esterno, ma i colori sono scomparsi mentre rimangono gli affreschi interni eseguiti dallo stesso Giulio Romano e da molti collaboratori. Oltre agli affreschi le pareti erano arricchite da tendaggi e applicazioni di cuoio dorate e argentate, le porte di legni intarsiati e bronzi e i caminetti costituiti di nobili marmi.

Per chi volesse seguire il programma 2016 che si svolgerà a Montova il consiglio è quello di tenere sotto controllo il blog oppure di visitare il sito: http://www.comune.mantova.gov.it/


martedì 5 gennaio 2016

Cavalcata dei Magi a Firenze



Per celebrare il giorno dell' Epifania, il 6 gennaio, l'Opera di Santa Maria del Fiore organizza la rievocazione storica della Cavalcata dei Magi.

La manifestazione, giunta alla ventesima edizione dell'epoca moderna, è nata nell' ambito dei festeggiamenti per i 700 anni dalla posa della prima pietra della Cattedrale e della fondazione dell'Opera, quando si decise di riprendere un'antica e gloriosa tradizione fiorentina del XV° secolo organizzando un corteo storico, sotto gli auspici dell' Arcidiocesi, del Capitolo del Duomo, in collaborazione con il Comune di Firenze e con la partecipazione dei comuni della provincia.

Il solenne corteo, con in testa i Re Magi a cavallo in sontuosi abiti di seta ispirati a quelli del celeberrimo affresco di Benozzo Gozzoli, sarà composto da circa 700 figuranti, tra cui quelli della Repubblica fiorentina. Dopo la partenza da Piazza Pitti, ore 14, il corteo si snoderà lungo le strade del centro di Firenze fino ad arrivare in Piazza Duomo, alle ore 15. Qui, dopo il saluto dei figuranti e lo scoppio della colubrina, i Re Magi deporranno i loro doni ai piedi del Presepe vivente.

La Cavalcata dei Magi trae origine da una tradizione già esistente nel XV secolo, quando a Firenze una compagnia di laici intitolata ai ‘Santi Re Magi’ organizzava una festosa rappresentazione per le vie di Firenze, composta da tre diversi cortei che si riunivano davanti al Battistero e proseguivano uniti fino alla Basilica di San Marco.

La confraternita ricevette un particolare sostegno dai Medici, tanto è vero che ne fecero parte i componenti di spicco della famiglia, oltre a personaggi a loro vicini, come gli umanisti Cristoforo Landino e Donato Acciaiuoli, il poeta Luigi Pulci e, probabilmente, il letterato e canonico di Santa Maria del Fiore Angelo Poliziano. A dimostrazione della venerazione di casa Medici verso i Magi, basterà ricordare appunto ‘la cavalcata’ che Cosimo fece affrescare da Benozzo Gozzoli, nel 1459, nella cappella del palazzo di via Larga (oggi Palazzo Medici-Riccardi, sede della prefettura e della Città Metropolitana).

Fonte: Opera del Duomo www.operaduomo.firenze.it

domenica 3 gennaio 2016

La Reggia di Venaria Reale



La reggia di Venaria Reale è una delle Residenze Sabaude parte del sito seriale UNESCO iscritto alla Lista del Patrimonio dell'umanità dal 1997.

La reggia di Venarìa fu progettata dall'architetto Amedeo di Castellamonte. A commissionarla fu il duca Carlo Emanuele II che intendeva farne la base per le battute di caccia nella brughiera collinare torinese.

Lo stesso nome in lingua latina della reggia, Venatio Regia, viene fatto derivare dal termine reggia venatoria. Al borgo si unirono molte case e palazzi di lavoratori e normali cittadini che vollero abitare nei dintorni della reggia, fino a far diventare Venaria Reale un comune autonomo della provincia di Torino.

L'insieme dei corpi di fabbrica che costituiscono il complesso, enorme se si considera l'estensione (80.000 m² di piano calpestabile), include il parco ed il borgo storico di Venaria, costruiti in modo da formare una sorta di collare che rievoca direttamente la Santissima Annunziata, simbolo della casa sabauda.

La scelta del sito, ai piedi delle Valli di Lanzo, fu favorita dalla vicinanza degli estesi boschi detti del Gran Paese, ricchissimi di selvaggina: un territorio che si estende per un centinaio di chilometri fino alle montagne alpine, giungendo a sud e a est in prossimità del capoluogo.

Il complesso è imponente: accedendo dall'entrata principale si viene accolti nella corte d'onore, nel centro della quale sorgeva una fontana detta del cervo, la facciata principale in intonaco con cornucopie conchiglie e frutti risulta sulla parte destra come "sfregiata" da una cesura di mattoni a vista che delimitano la parte seicentesca da quella settecentesca, successiva all'intervento del primo architetto di corte Amedeo di Castellamonte.

La parte sinistra del complesso presenta l'intervento del secondo architetto di corte Michelangelo Garove 1699-1713 in sintesi la realizzazione di due torrioni con tetti detti alla "Mansart" ricoperti di Scandole, mattonelle pentagonali multicolori in ceramica, uniti da una Gran Galleria erroneamente indicata a metà del XX secolo, come quella di Diana. Il pittore Giacomo Casella eseguì col cognato Giovanni Andrea Casella la decorazione pittorica della sala dei templi di Diana: Britomarte consegna un tempio a Diana, degli anni 1660-1663.

Negli interni si trovavano stucchi, statue, dipinti, (secondo il Castellamonte, oltre quattromila quadri), realizzati da valenti artisti, tra cui Vittorio Amedeo Cignaroli, Pietro Domenico Olivero e Bernardino Quadri. Sulle pareti si stagliano raffigurazioni di selvaggina che istituiscono un rimando alla funzione venatoria della struttura. Le decorazioni a stucco spesso sono dovute all'arte dello stuccatore Pietro Somazzi, in ambienti trasformati in epoca successiva, oppure in sale all'interno della reggia di Diana e nei vani di raccordo con il padiglione eretto da Michelangelo Garove, dove si assiste ad un vero e proprio trionfo di abilità esecutiva. Nel 1718 nella Pietro Filippo Somazzi ottenne l'esecuzione degli stucchi della galleria, attenendosi al disegno dell'architetto Filippo Juvarra.

A illustrare il complesso della reggia, esiste un modello estremamente accurato realizzato da Carlo Costantini.

Per informazioni e prenotazioni delle numerose mostre che vi si tengono tutto l'anno: http://www.lavenaria.it/web/

venerdì 1 gennaio 2016

Buon anno a tutti da Pompei

la Casa di Paquius Proculus


Per prima cosa buon anno a tutti gli amici e lettori del blog.

Grazie per averci seguito sino a qui. Da parte nostra ci impegniamo anche quest'anno a proporvi notizie, suggerimenti, informazioni che vi possano essere utili per conoscere sempre di più il Paese più bello del mondo: l'Italia!

Iniziamo l'anno subito con una bella notizia: nel sito archeologico di Pompei dal 24 dicembre sono visitabili sei nuove domus romane interamente restaurate. 

Gli edifici restaurati, già accessibili al pubblico, sono: la Fullonica di Stephanus, la Casa del Criptoportico, la Casa di Paquius Proculus, la Casa del Sacerdos Amandus, la Casa di Fabius Amandio e la Casa dell’Efebo. 

Domenica prossima 3 gennaio è inoltre possibile accedere gratis agli scavi in quanto prima domenica del mese, nell'ambito dell’iniziativa ministeriale #DomenicalMuseo

Per chi fosse interessato alla visita agli Scavi di Pompei (una delle meraviglie da visitare almeno una volta nella vita) eco il sito di riferimento:

http://www.pompeiisites.org/