martedì 31 dicembre 2013

Auguri

Un mondo di auguri agli amici di peanutsfromitaly per un indimenticabile 2014...

Vi lascio con le foto bellissime del Presepe artistico di Varazze realizzato dalla Confraternita di San Bartolomeo.



La galleria fotografica la trovate al seguente indirizzo:

http://www.flickr.com/photos/112560054@N07/sets/72157639233763714/#

venerdì 27 dicembre 2013

Presepi da tutto il mondo

Amici di peanuts, vi invito a vedere le foto della collezione di Presepi in miniatura di mia suocera, nonna Lucia che li colleziona da circa trent'anni.




La serie completa delle foto dei Presepi è visionabile su Flickr all'indirizzo:

http://www.flickr.com/photos/112560054@N07/sets/72157639047793536/

domenica 22 dicembre 2013

Natale

Questo è il post numero 200 che pubblico su peanutsfromitaly.

Un cammino iniziato quest'anno, nel mese di giugno. Ho cercato di raccontare un'Italia diversa da quella che veniva descritta nei telegiornali o sulle pagine dei giornali. Spero di avere risposto alle vostre curiosità e ai vostri interessi, almeno in parte. 

Vi auguro un sereno santo Natale e vi lascio con questa poesia che ho scritto sul Natale e che potete trovare nel mio libro Al Bal Tabarin, scaricabile gratuitamente in formato ebook: http://www.lulu.com/shop/lorenzo-quaglia/al-bal-tabarin/ebook/product-13399691.html


Natale


Un fiocco che cade,

un sospiro che sale,

una luce

che illumina un poco 

l'angolo buio

della nostra umanità.




Buon Natale!



mercoledì 18 dicembre 2013

Lo Zampognaro

Lo zampognaro è il suonatore di zampogna, uno strumento musicale arcaico a fiato diffuso in Italia centro-meridionale. La zampogna (da non confondere con la cornamusa diffusa nel nord Italia e in altre regioni europee) è uno strumento tradizionale caratterizzato dalla presenza di più canne sonore (chanter).

Le regioni dove è tradizionalmente presente la zampogna sono: Lazio (province di Frosinone e Latina), Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia.

Comunemente con il termine di zampognari si definiscono quei musicisti o figuranti che con l'arrivo del Natale (in particolare durante il periodo della Novena dell'Immacolata Concezione e del Natale), percorrono le vie cittadine, in abiti tipici, suonando motivi natalizi tradizionali, quali ad esempio Tu scendi dalle stelle di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Generalmente gli zampognari suonano in coppia, uno la zampogna vera e propria ed un altro la ciaramella o altri strumenti a fiato e tradizionalmente si tratta di pastori o contadini che si trasferiscono temporaneamente in città per il periodo natalizio.

La "coppia" di zampognari rappresenta anche una presenza fissa del presepe e in particolare del presepe napoletano, dove generalmente trova posto nelle immediate vicinanze della "capanna" o "grotta" della Sacra Famiglia.

Se è vero che la zampogna nei grandi centri urbani si usa solo nel periodo natalizio, in ambito rurale/pastorale questa accompagna tutti gli accadimenti dell'anno. Oggi l'impiego della zampogna e degli zampognari in ambito rurale (processioni, rituali, feste e balli) è praticato in Campania (provincia di Salerno), Basilicata, Calabria, Sicilia (provincia di Messina) Abruzzo.

È importante ricordare come, in seguito alla migrazione dal sud verso l'industriale nord, oggi in grandi città come Milano si trovano zampognari (di diverse provenienze) che mantengono viva la tradizione sia esecutiva, sia costruttiva.

La presenza della zampogna - come tale - in altre regioni d'Italia è dovuta alla passione di alcuni musicisti di altre regioni che l'hanno fatta propria, ma non è espressione di tipicità ne di tradizione. Discorso diverso per i vari tipi di cornamusa tipici dell'Italia nord-occidentale, dove i rispettivi suonatori assumono altre denominazione locali: "cornamusaro", müsetta nelle Quattro province, suonatore di "piva" nel parmense o di "baghèt" nella bergamasca.



domenica 15 dicembre 2013

Tu scendi dalle stelle

Tu scendi dalle stelle è un canto natalizio composto nel dicembre 1754 a Nola in provincia di Napoli, dal Santo napoletano Sant'Alfonso Maria de' Liguori, derivato come versione italiana dall'originale Quanno nascette Ninno.

Il motivo, scritto in 6/8, è uno tra i più famosi canti natalizi italiani.

Ecco il testo:

Tu scendi dalle stelle,
O Re del Cielo,
e vieni in una grotta,
al freddo al gelo.

O Bambino mio Divino
Io ti vedo qui a tremar,
O Dio Beato
Ah, quanto ti costò
l'avermi amato!

A te, che sei del mondo
il Creatore,
non hai panni né fuoco;
O mio Signore!

Caro eletto Pargoletto,
Quanto questa povertà
più m'innamora!
Giacché nel nostro amor
tu soffri ancora!

Di seguito lo potete ascoltare cantato dai bambini del Piccolo coro dell'Antoniano di Bologna.



sabato 14 dicembre 2013

Personaggi tipici del Presepe

I personaggi tipici del presepe sono molti e possono variare da regione a regione. Essi variano molto a seconda delle varie tradizioni presepistiche in base ai materiali in cui sono realizzati (legno, stoffa, carta), alle tecniche di lavorazione adottate per la loro fabbricazione e alla colorazione (che può anche essere assente nei presepi più semplici). Possono essere divisi in categorie in base al loro ruolo e lavoro.

I personaggi della Sacra Famiglia sono l'elemento cardine di tutti i presepi e sono sempre presenti anche in quelli più piccoli e modesti. I tre protagonisti sono Gesù Bambino, posto nella mangiatoia la notte di Natale (anche se in alcune tradizioni viene posto nella mangiatoia solo il 25 dicembre). Accanto a lui si trova Maria, collocata nella capanna (o nella grotta) nei pressi della mangiatoia che ospita il figlio ed è solitamente rappresentata con abiti blu o azzurri. Fino al XIV secolo veniva rappresentata sdraiata accanto al figlio, mentre nei secoli più recenti l'iconografia l'ha sempre figurata in ginocchio o adorante. San Giuseppe è solitamente simile per abbigliamento e fisionomia ai pastori, è situato a lato di Gesù ed è caratterizzato da un bastone con l'impugnatura ricurva, i suoi vestiti sono o gialli o marroni. Inoltre in alcune rappresentazioni Maria viene rappresentata sopra l'asino che attende Giuseppe che sta cercando un alloggio che per via del censimento non è disponibile.

Le statuine che rappresentano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre sono aggiunte tradizionalmente la notte precedente l'Epifania (poche ore prima della rimozione del presepe). Sono rappresentati con abiti ricchi e reggono i tre doni. Secondo alcune interpretazioni rappresenterebbero i continenti conosciuti all'epoca e quindi sono spesso caratterizzati da differenze di carnagione. Secondo la tradizione, Melchiorre viene rappresentato come anziano, con la barba lunga e portante incenso, a ricordo della divinità di Gesù, e proverrebbe dall'Asia. Gaspare, più giovane, trasporta il simbolo della regalità, ossia l'oro, e rappresenta l'Europa; infine Baldassarre è il mago dell'Africa, naturalmente di colore scuro, recante la mirra, utilizzata per l'imbalsamazione e dunque a ricordo della futura morte di Cristo.

I pastori costituiscono la classe sociale più povera e sono i primi personaggi ad adorare il Bambino. Rappresentano un gruppo molto variegato e sono ritratti in diversi momenti della loro giornata (conducono al pascolo le pecore, si ritrovano con la famiglia dopo il lavoro, preparano doni da regalare a Gesù...). Non c'è limite al loro numero, anche se per rispetto al numero dei Magi sono solitamente in tre. Il numero però può variare da uno o due nelle rappresentazioni più elementari a qualche decina nei presepi più ricchi; vengono solitamente posti davanti alla capanna (o, in alternativa, alla grotta) oppure percorrono i sentieri che conducono alla luogo dove è collocata la mangiatoia.

Gli artigiani rappresentano tutte le professioni praticate in quel tempo e sono probabilmente la categoria più complessa. I più classici sono i fabbri, le donne incaricate di lavare i panni presso il ruscello diventato, soprattutto negli ultimi anni, un elemento essenziale, gli allevatori intenti a mungere bovini, i muratori... Non mancano comunque statuine ritraenti personaggi più particolari. Come per i pastori non esiste limite alla loro quantità, ma nei presepi più semplici possono essere omessi. Sono rappresentati mentre svolgono le loro attività, ma si riesce a cogliere facilmente dalla posizione e, nel caso di statue grandi e dettagliate, dall'espressione la distrazione provocata dalla notizia.

I suonatori, insieme ai pastori, sono solitamente collocati di fronte alla capanna e, per festeggiare l'evento suonano zampogne o zufoli (la classificazione di alcuni di questi personaggi è spesso ambigua in quanto le statuine li rappresentano insieme a pecore o con altri elementi tipicamente legati alla pastorizia).

Il nostro Presepe con statuine vecchie di oltre sessant'anni! 

venerdì 13 dicembre 2013

Il Presepe

Il presepe (o presepio) è una rappresentazione della nascita di Gesù, derivata da tradizioni medievali.

Il termine deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, ma anche recinto chiuso dove venivano custoditi ovini e caprini composto da prae = innanzi e saepes = recinto, ovvero luogo che ha davanti un recinto. Un'altra ipotesi fa nascere il termine da praesepire cioè recingere. Nel latino tardo delle prime vulgate evangeliche viene chiamato cripia, che divenne poi krippe in tedesco, crib in inglese, krubba in svedese e crèche in francese. Una curiosità: il presepe è chiamato così solo in Italia ed in Ungheria perché la parola vi arrivò via Napoli nel XIV secolo quando un discendente Angiò divenne re di quelle regioni.

Le prime fonti del presepe sono i 180 versetti dei Vangeli di Matteo e Luca, cosiddetti dell'infanzia, che riportano la nascita di Gesù avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme di Giudea, piccola borgata ma sin da allora nobile, perché aveva dato i natali a Re Davide.

Il presepe moderno indica una ricostruzione tradizionale della natività di Gesù Cristo durante il periodo natalizio: si riproducono quindi tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi ai pastori, dal bue e l'asinello agli agnelli, e così via. La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica.

La tradizione, prevalentemente italiana, risale all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività. Tommaso da Celano, cronista della vita di San Francesco descrive brevemente la scena: si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme. Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che "sacre rappresentazioni" delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale. La più antica raffigurazione della Vergine con Gesù Bambino, la troviamo nelle Catacombe di Priscilla sulla Via Salaria a Roma, dipinta da un ignoto artista del III secolo all'interno di un arcosolio del II secolo. Ritornando al Presepe di Greccio è opportuno, per correttezza, sottolineare che la rappresentazione preparata da San Francesco non si può ancora considerare un presepe come noi attualmente lo intendiamo. Mancano infatti i protagonisti principali: la Vergine Maria, San Giuseppe e Gesù Bambino; nella grotta dove era stata allestita la rappresentazione erano solo presenti due animali veri, ai lati di una mangiatoia sulla quale era stata deposta della paglia. Sull'argomento è ritornato recentemente Papa Ratzinger nel suo ultimo libro ove afferma che "nel Vangelo non si parla di animali" e che quindi il bue e l'asino non erano nella stalla.

Il primo presepe scolpito a tutto tondo di cui si ha notizia è quello conservato nella Basilica di Santo Stefano (Bologna). Si tratta del più antico presepio conosciuto al mondo composto da statue a tutto tondo. Uno studio approfondito dell'opera pubblicato nel 1981 da Massimo Ferretti, alla fine del primo grande restauro effettuato da Marisa e Otello Caprara, ha identificato che lo scultore delle statue è lo stesso Maestro del Crocefisso 1291 custodito nelle Collezioni d'Arte del Comune di Bologna. L'opera fu prima scolpita da tronchi di tiglio e di olmo, forse nell'ultimo decennio del XIII secolo da uno anonimo scultore bolognese. L'opera rimase senza coloritura fino al 1370, quando fu incaricato il pittore bolognese Simone dei Crocefissi che ne curò la ricca policromia e la doratura con il suo personalissimo stile gotico.

Antico come questo è il gruppo scultoreo di Arnolfo di Cambio nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, che per tanto tempo è stato considerato il Presepio più antico fatto con singole statue. Ma un'attenta osservazione dei gruppi scultorei denota che in realtà non si tratta di vere statue a tutto tondo, bensì di altorilievi scolpiti da blocchi di pietra, il cui dorso è visibilmente rimasto piatto, eccettuata la figura del Mago inginocchiato, che risulta essere stata completata successivamente a tutto tondo (cioè scolpendo anche il dorso) da un autore successivo ad Arnolfo di Cambio, così come è accaduto alla figura della Vergine col Bambino, che non è l'originale scolpita da Arnolfo, ma le più recenti indagini hanno evidenziato che essa sarebbe stata modificata in epoca rinascimentale, scolpendo e modificando la figura originale della Vergine di Arnolfo.

L'iconografia del presepio ebbe un impulso nel Quattrocento grazie ad alcuni grandi maestri della pittura: il Botticelli nell'Adorazione dei Magi (Firenze, Galleria degli Uffizi) raffigurò personaggi della famiglia Medici; Giotto con la Natività della Cappella degli Scrovegni a Padova. Nel Quattrocento anche Luca e Andrea Della Robbia si cimentarono con le loro terrecotte in scene della Natività: per tutte valga quella del convento della Verna. Un'altra terracotta robbiana, con sfondo affrescato da Benozzo Gozzoli, si trova nel duomo di Volterra e rappresenta i pastori e il corteo dei Magi. Filippino Lippi compose la Natività che si trova al Museo Diocesano di Milano, Piero della Francesca la Natività della National Gallery di Londra, il Correggio la Natività della Pinacoteca di Brera.

Ben presto questo tipo di simbolismo fu ampiamente recepito a tutti i livelli, soprattutto all'interno delle famiglie, per le quali la rappresentazione della nascita di Gesù, con le statuine ed elementi tratti dall'ambiente naturale, diventò un rito irrinunciabile.

Nel XV secolo si diffuse l'usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanenti, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di "soprammobili" o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all'invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare.

Ma il grande sviluppo dei presepi scolpiti si ebbe nel Settecento, quando si formarono le grandi tradizioni presepistiche: quella del presepe napoletano, quella del presepe genovese e quella del presepe bolognese. In questo secolo, da un lato, si diffusero i presepi nelle case. Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Nello stesso secolo a Bologna, altra città italiana che vanta un'antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.

Ma, soprattutto, il Settecento è il secolo in cui si diffusero i presepi nelle chiese. Alcuni di essi sono sopravvissuti, nonostante i molti furti subiti, e vengono tuttora esposti nel periodo natalizio. Fra i più famosi scultori di presepi di quest'epoca si segnala il genovese Anton Maria Maragliano.

Solo fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento il presepe arriverà anche negli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri.


Presepe napoletano esposto all'interno della Reggia di Caserta



giovedì 12 dicembre 2013

Il Natale romano

Siamo in pieno periodo natalizio, ma conosciamo il significato, l'origine della parola natale?

Natale (latino Natalis dies) è il nome con cui nella religione romana si indica il giorno di inizio di un evento importante e la sua ricorrenza: la nascita di un individuo e il suo compleanno, la fondazione di una città e il suo anniversario, la dedica di un luogo sacro e la sua ricorrenza, l'inizio del regno di un sovrano e la ricorrenza della sua ascesa al trono.

Nel calendario romano si trovano espressioni come Natale di Tito, Natale di Adriano a intendere i compleanni degli imperatori, oppure Natale di Mercurio, Natale di Minerva, a intendere la ricorrenza della dedica del tempio di questa o quella divinità.

Nel giorno natalizio si svolgevano feste private in occasione dei compleanni dei privati cittadini e feste pubbliche in occasione del natale di imperatori e divinità. Anche il Natale di Roma era ovviamente una solennità pubblica e coincideva con l'antica festa dei Parilia.

Il natale romano più famoso è però quello del Sole Invitto, il dies Natalis Solis Invicti, introdotto da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la prima volta da Aureliano nel 273, sul quale si sovrappose il Natale cristiano.



mercoledì 11 dicembre 2013

Anello di Monaco

È un dolce dalla complessa preparazione prodotto artigianalmente esclusivamente dai forni e dalle pasticcerie della città di Mantova e nel solo periodo natalizio. Dolce di pasta lievitata, appare simile a un panettone con un foro interno, glassato con zucchero in superficie e farcito di crema a base di nocciole o noci o con marron glacé tritati e in altre versioni con cioccolato. Nella forma ricorda anche una ciambella di notevole altezza (20-30 cm), nella sommità decorata dalla glassa bianca zuccherata. Internamente la pasta appare di colore giallo contenente mandorle e uvetta, e avvolgente la farcitura prescelta. L'anello di Monaco emana un profumo e un sapore di nocciole e burro.

Dal 1789 in poi, Mantova ha accolto decine di pasticceri e caffettieri svizzeri, prevalentemente immigrati dal Cantone dei Grigioni, che importarono dolci della loro tradizione come facilmente rilevabile anche da un altro tipico dolce mantovano, l'Helvetia. Ne consegue che anche le origini dell'Anello di Monaco sono da ricercarsi in area svizzera-austro-tedesca. Fu infatti nel 1798 che la famiglia di Adolf Putscher di origine svizzera, propose per la prima volta ai mantovani l'Anello di Monaco, produzione che fu poi perfezionata localmente durante la dominazione austriaca. Possiamo considerarlo la versione cisalpina del dolce germanico Gugelhupf.

Il nome fu imposto dall'uso dei cittadini mantovani in sostituzione del più ostico nome tedesco Kugelhupf, di cui è una derivazione. Probabilmente a suggerirne il nome fu la forma e la ricchezza dell'impasto e nell'immaginare la nota città di Monaco di Baviera come collocata in Svizzera. Altre ipotesi fanno risalire l'origine del nome ai monaci benedettini.





martedì 10 dicembre 2013

Storia d'Italia - La conquista dell'Italia peninsulare

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di recuperare il trono con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, ad opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la Repubblica.

Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri precedentemente appartenuti a un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, tra le quali il consolato e il pretorato erano cum imperio, erano collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare il potere nelle loro mani.

Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C. (o, secondo altre fonti, nel 496 a.C.) nella battaglia del Lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C. Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.

I primi anni di vita della Repubblica Romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei avviarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C., infine, si ritirarono in secessione sul Monte Sacro (Secessio plebis). La situazione si risolse con l'istituzione della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi delle XII tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, e l'approvazione della lex Canuleia, nel 445 a.C. Nel 386 a.C. l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che sottoposero l'Urbe ad un rovinoso saccheggio. Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges Liciniae Sextiae, che ampliarono ulteriormente i diritti della plebe.

Consolidata la propria egemonia nell'Italia centrale, Roma volse le proprie mire espansionistiche verso sud attaccando i Sanniti, contro i quali combatté tre difficili guerre (nel 343-341 a.C., nel 327-304 a.C. e nel 298-290 a.C.), che, nonostante alcune umilianti disfatte inflitte dai Sanniti a Roma (celebre quella delle Forche Caudine nel corso della seconda guerra sannitica), si conclusero dopo alterne vicende con la vittoria romana e la sottomissione totale dei Sanniti.

Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della Magna Grecia e con la potente Taranto, che invocarono allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che sbarcò in Italia con un potente esercito comprendente anche elefanti da guerra; nonostante alcune sofferte vittorie (con grandissime perdite) contro i Romani a Heraclea e ad Ascoli, Pirro fu duramente sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano. 13 - CONTINUA


Muzio Scevola davanti a Porsenna


lunedì 9 dicembre 2013

La pastiera napoletana

La pastiera napoletana (o più semplicemente pastiera) è un dolce napoletano, uno dei capisaldi della cucina napoletana (ma diffuso anche nella zona di Reggio Calabria e provincia). Ha avuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano.

La leggenda che vuole la sirena Partenope creatrice di questa delizia deriva probabilmente dalle feste pagane e dalle offerte votive del periodo primaverile. In particolare la leggenda è probabilmente legata al culto di Cerere le cui sacerdotesse portavano in processione l'uovo, simbolo di rinascita che passò nella tradizione cristiana. La ricetta attuale fu perfezionata proprio nei conventi e divennero celebri quelle delle suore del convento di San Gregorio Armeno.

La pastiera è una torta di pasta frolla farcita con un impasto a base di ricotta, frutta candita, zucchero, uova e grano bollito nel latte. La pasta è croccante mentre il ripieno è morbido. Il colore è giallo oro molto intenso. Il profumo e il sapore cambiano a seconda delle spezie e degli aromi utilizzati durante la preparazione. Nella ricetta classica gli aromi utilizzati sono cannella, canditi, scorze d'arancia, vaniglia e acqua di fiori d'arancio. Oggi ci sono numerose variazioni alla ricetta classica che vanno dall'aggiunta di crema pasticcera nell'impasto interno, al cioccolato bianco nella pasta frolla.

Le massaie partenopee la preparavano di solito il giovedì santo o il venerdì santo, ma ormai è presente tutto l'anno nelle migliori pasticcerie napoletane, soprattutto nel periodo natalizio.




domenica 8 dicembre 2013

Aspettando il Natale...

Mancano due settimane a Natale. Oggi peanutsfromitaly vi offre una pausa di riflessione su questo Avvenimento, punto di origine nella storia dell'esperienza cristiana, con questo video che raffigura immagini della Natività.

Buona visione.



sabato 7 dicembre 2013

Sant'Ambrogio e la prima del Teatro alla Scala

Oggi il calendario della Chiesa Cattolica ricorda un grande Santo: Sant'Ambrogio.

Aurelio Ambrogio (Aurelius Ambrosius), meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Treviri, incerto 339-340 – Milano, 397) è stato un vescovo, scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa.

Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, per il luogo di nascita, o più comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte, nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.

Tradizionalmente in Italia, il giorno di Sant'Ambrogio, accade un evento importante: l'apertura della stagione teatrale di uno dei Teatri lirici più importanti al mondo: La Scala di Milano. 

Il Teatro alla Scala di Milano (citato spesso semplicemente come la Scala) è uno dei teatri più famosi al mondo: da oltre duecento anni ospita artisti internazionalmente riconosciuti ed è stato committente di opere tuttora presenti nei cartelloni dei teatri lirici di tutto il mondo. È situato nell'omonima piazza, affiancato dal Casino Ricordi, oggi sede del Museo teatrale alla Scala.

Il teatro prende nome dalla Chiesa di Santa Maria alla Scala, a sua volta così intitolata in onore della committente Regina della Scala. La chiesa fu demolita alla fine del XVIII secolo per far posto al teatro (“Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala”), inaugurato il 3 agosto 1778 con L'Europa riconosciuta, dramma per musica composto per l'occasione da Antonio Salieri.

A partire dall'anno di fondazione è sede dell'omonimo coro, dell'orchestra e del corpo di Ballo, dal 1982 anche della Filarmonica.

Per chi desiderasse prenotare una visita o un biglietto al Teatro alla Scala, ecco il link:
http://www.teatroallascala.org/it/index.html

Ah, dimenticavo, la prima rappresentazione dell'anno 2013 - 2014: la Traviata di Giuseppe Verdi.


Teatro alla Scala

venerdì 6 dicembre 2013

Nelson Mandela

Oggi è un giorno molto triste sulla terra perché la notte scorsa ci ha lasciato una grande anima: Nelson Mandela.

Tutto il mondo lo sta ricordando in queste ore ed è inutile qui ricordare le azioni che hanno reso indimenticabile l'uomo.

Leggendo in rete notizie su Mandela, ho trovato un articolo che racconta di un legame con l'Italia e questo pezzo mi piace riproporre su peanutsfromitaly come personale contributo alla memoria. 

E' un articolo di Enzo Luongo tratto dal sito: 


Mandela e Luigi di Trivento, un'amicizia lunga 30 anni. Il molisano: "Amava l'Italia, ne parlavamo sempre"


"Ci facevamo delle lunghe chiacchierate sull'Italia, l'Italia è un paese che lui amava molto, si informava su tutto, mi chiedeva sempre". Luigi D'Ovidio da più di 50 anni vive in Sudafrica, partì dal suo paese, Trivento, in cerca di fortuna e a Johannesburg ha costruito nel tempo un vero e proprio impero imprenditoriale. 

Ex pilota di automobilismo sportivo, ha numerose società nel settore dei motori, dei trasporti, del commercio. Un nome nell'economia sudafricana, ma soprattutto oggi un testimone diretto di uno degli uomini più importanti del XX secolo. D'Ovidio per 30 anni è stato amico personale di Nelson Mandela, frequentatore abituale di casa sua, legatissimo alla sua famiglia. 

"Da quando stava male andavo a trovarlo ogni due settimane - racconta dal suo ufficio di Johannesburg - l'ultima volta ci sono stato giovedì scorso. Dell'Italia mi chiedeva spesso di Andreotti, che lui aveva conosciuto e incontrato, ma anche di tante altre cose. Persino le camice che indossava le faceva arrivare dall'Italia, le faceva Stefano Ricci. Ci parlava al telefono e una volta venne anche qui e ci incontrammo".

Luigi D'Ovidio ricorda anche l'amico Mandela degli ultimi anni, quelli segnati dalla malattia: "Alla fine stava molto male, ma ha avuto i migliori dottori che hanno fatto tantissimo per lui. Fino a qualche tempo fa aveva la sedia sempre accanto al telefono e rispondeva personalmente a tutte le telefonate. Quando andavo a trovarlo ridevamo insieme. Mi chiedeva delle persone che tenevo a lavorare nelle mie aziende, mi chiedeva di portare la mia bambina, si informava su tutto. Poi aveva una memoria di ferro, si ricordava tutti i nomi. E' stato un uomo grande, ma una persona semplice, alla mano, ti parlava sempre in modo diretto". E ricorda anche l'uomo imponente dal punto di vista fisico: "Era altissimo, più di un metro e ottanta. Aveva delle mani così grandi che quasi facevano timore, però poi quando ti dava la mano e ti sorrideva provavi una sensazione di grandissimo calore, affetto. Con la sua morte oggi è l'intero mondo che ha perso". 

L'imprenditore molisano parla di un altro grande amore di Mandela, i bambini. "Con loro aveva un legame speciale. Non solo i suoi nipoti, ma tutti i bambini. Ricordo un episodio molto doloroso quando qualche tempo fa sua nipote, una bambina che lui adorava e che era sempre con lui, morì in un incidente stradale. Una tragedia che lo ha segnato tanto. Il giorno del funerale, un giorno freddissimo, io ero lì e mi tenevo un po' in disparte, lontano dalla famiglia per rispettare il loro dolore. Ma lui mi vide e mi chiamò, mi fece avvicinare perché mi voleva parlare, anche in quella circostanza così tragica. Ecco, quello è un ricordo particolare che porto nel cuore. Oggi ancora di più". (Enzo Luongo)



giovedì 5 dicembre 2013

Il Panettone

Si avvicina il Natale ed in Italia ogni Regione, ogni città, ha il suo dolce natalizio tradizionale.

In questi giorni che ci separano dalle festività, presenteremo i dolci più caratteristici del Natale italiano.

Iniziamo dal Panettone lombardo, milanese si potrebbe dire.

Il Panettone, in lombardo panaton o panatton, è un tipico dolce milanese, associato alle tradizioni gastronomiche del Natale ed ampiamente diffuso in tutta Italia. Il panettone tradizionale lombardo è notoriamente quello alto, ma esiste anche la variante bassa e larga piemontese, detta Galup.

Tipicamente ha una base cilindrica di 30 cm di altezza che termina in una forma a cupola. Basi ottagonali o a sezione a forma di stella sono più comuni per il pandoro. È ottenuto da un impasto lievitato a base di acqua, farina, burro, uova o anche tuorli, al quale si aggiungono frutta candita, scorzette di arancio e cedro in parti uguali, e uvetta. Il risultato è comunemente denominato panetton candìo.

Il panettone nasce a Milano ai tempi di Ludovico il Moro, e ancora oggi è prodotto secondo la ricetta di 500 anni fa. A Milano fino al 900 erano in moltissimi tra fornai e pasticceri a produrre il panettone, oggi però le grandi ditte industriali di panettoni sono dislocate in tutta Italia, mentre a Milano rimangono ancora tanti artigiani che producono un panettone secondo la ricetta tradizionale.

Oggi il Panettone è un dolce tipico Italiano tutelato dal 2005 da un disciplinare, che ne specifica gli ingredienti e le percentuali minime per poter essere definito tale.

Il processo di produzione del Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese prevede le seguenti fasi di lavorazione:

1- Preparazione del lievito naturale.

S'intende per "lievito naturale" un impasto costituito da acqua e farina di frumento, acidificato dalla attività fermentativa di lieviti e batteri lattici derivanti dalla madre. S'intende per "madre" una porzione d’impasto di lievito naturale prelevata da una lavorazione precedente che funge da innesto microbico.

2- Preparazione degl'impasti lievitati.

La quantità degli ingredienti, la successione delle aggiunte dei vari ingredienti, il numero di impasti e le condizioni di lievitazione (tempo, temperatura, umidità) che si adottano per ottenere l'impasto finale dipendono dalla scelta del produttore. Tale discrezionalità, che è basata sulla esperienza e tradizione di ogni produttore, contribuisce a creare quella varietà di gusti, aromi e strutture che costituiscono la peculiarità e la ricchezza della produzione artigianale.

1° impastamento → sosta di lievitazione → impasto lievitato → 2° impastamento → sosta di lievitazione → impasto lievitato.

3- Formatura.

La fase di formatura condiziona l’ottenimento dell’aspetto finale del prodotto; viene tradizionalmente realizzata attraverso le seguenti operazioni: spezzatura, cioè porzionatura dell’impasto finale lievitato; “pirlatura”, cioè arrotondamento delle porzioni d’impasto; posa dei “pirottini”, cioè deposizione dell’impasto negli stampi di cottura.

4- Lievitazione finale.

La lievitazione finale si realizza nello stampo di cottura in condizioni di tempo, temperatura ed umidità dipendenti dall’esperienza personale dell’artigiano; durante la lievitazione si opera la “scarpatura” che consiste nell’incidere la superficie superiore dell’impasto con un taglio a forma di croce.

5- Cottura.

La cottura è di circa 50 minuti a 190° per pezzatura da 1 kg.

6- Raffreddamento.

In questa fase è previsto il capovolgimento del prodotto. Al termine del raffreddamento viene stampata o punzonata la data sul pirottino in maniera indelebile.

Il Panettone più buono che abbia mai assaggiato? Ma quello della Pasticceria Restelli a Bollate, attaccata alla Parrocchia di San Martino!

Sapete amici che peanutsfromitaly non è solito fare pubblicità, ma il Panettone Restelli è la fine del mondo, provare per credere! Di seguito il link della Pasticceria, così se passate per Bollate (alle porte di Milano) in questi giorni pre natalizi, sapete dove trovarla: http://www.pasticceriarestelli.com/

I miei gusti preferiti? Li potete vedere qui sotto!

Anche la nostra gatta è interessata al Panettone Restelli!




mercoledì 4 dicembre 2013

Gae Aulenti

Gaetana (Gae) Aulenti nasce il 4 dicembre 1927 a Palazzolo dello Stella, in provincia di Udine, figlia di Aldo Aulenti, di origini pugliesi e Virginia Gioia, napoletana di origini calabresi. Suo padre era nato ad Acri, in Calabria, figlio di Giuseppe Aulenti, nato a Canneto di Bari nel 1865. Si laureò in architettura al Politecnico di Milano nel 1953, dove conseguì l'abilitazione alla professione. 

Gae Aulenti si forma come architetto nella Milano degli anni cinquanta, dove l'architettura italiana è impegnata in quella ricerca storico culturale di recupero dei valori architettonici del passato e dell'ambiente costruito esistente che confluirà nel movimento Neoliberty. La Aulenti fa parte di questo percorso, che si pone come reazione al razionalismo.

Dal 1955 al 1965 fa parte della redazione di Casabella-Continuità sotto la direzione di Ernesto Nathan Rogers. Sul fronte universitario è assistente prima di Giuseppe Samonà (dal 1960 al 1962) presso la cattedra di Composizione Architettonica all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e poco dopo (dal 1964 al 1969) dello stesso Ernesto Nathan Rogers presso la cattedra di Composizione Architettonica al Politecnico di Milano. In quel periodo conosce casualmente il giovane Renzo Piano, impegnato ad effettuare una ricerca per la cattedra di Rogers.

Del 1965 è la sua celebre lampada da tavolo Pipistrello, disegnata come site specific per lo showroom di Olivetti che realizza contestualmente a Parigi. Poco dopo, per la stessa Olivetti disegnerà lo showroom di Buenos Aires. La collaborazione con la nota azienda produttrice di macchine per scrivere le dà una certa notorietà, tanto che poco dopo Gianni Agnelli la chiamerà per affidarle la ristrutturazione del suo appartamento milanese in zona Brera. Tra i due nasce una amicizia che durerà per tutta la vita e per gli Agnelli Gae Aulenti concepirà numerosi progetti.

Nel 1972 partecipa alla nota esposizione Italian: the new Domestic Landscape organizzata da Emilio Ambasz al MoMa insieme a numerosi altri designer e architetti emergenti, tra cui Marco Zanuso e Richard Sapper, Joe Colombo, Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Archizoom, Superstudio, Gruppo Strum e 9999.

Di se stessa usava dire di vedere la sua architettura in stretta relazione e in interconnessione con l'ambiente urbano esistente, che diviene quasi la sua forma generatrice, cercando, con questo, di trasferire nel suo spazio architettonico la molteplicità e l'intensità degli elementi, che vanno a definire l'universo urbano. Dal 1974 al 1979 è membro del Comitato direttivo della rivista Lotus International, poi fa esperienze artistiche e dal 1976 al 1978 collabora con Luca Ronconi a Prato al Laboratorio di Progettazione Teatrale. Nel 1979, le viene affidata la direzione artistica della Fontana Arte, con cui aveva già collaborato in passato. Vengono prodotte lampade e oggetti d’arredo ancora oggi a catalogo. Tra i collaboratori di maggior rilievo compaiono Piero Castiglioni, Pierluigi Cerri, Daniela Puppa e Franco Raggi. Ha una lunga relazione con Carlo Ripa di Meana, da cui si allontanerà per la sua vicinanza a quello che definirà "craxismo deleterio". Nel 1984 viene nominata corrispondente dell'Accademia Nazionale di San Luca a Roma, mentre dal 1995 al 1996 è presidente dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 ha costituito la Gae Aulenti Architetti Associati.

Muore il 31 ottobre 2012 a Milano all'età di 84 anni. Prima della sua scomparsa, il 16 ottobre venne insignita del premio alla carriera consegnatole dalla Triennale. In una nota ufficiale, il Presidente della Repubblica Napolitano esprime il cordoglio per la scomparsa dell'Aulenti, ricordandola come: 
« protagonista di primo piano della storia dell'architettura contemporanea, altamente apprezzata in tutto il mondo per il suo talento creativo e, in particolare, per la straordinaria capacità di recuperare i valori culturali del patrimonio storico e dell'ambiente urbano»

Il 7 dicembre 2012 viene inaugurata ed intitolata a suo nome la nuova grande piazza circolare situata al centro del complesso della Unicredit Tower di Milano.

Gae Aulenti

martedì 3 dicembre 2013

Nino Rota

Il 3 dicembre 1911 nasceva a Milano il grande compositore Nino Rota.

Rota è stato un grande compositore di colonne sonore, tra le quali quelle dei film Il padrino, Amarcord di Federico Fellini e Assassinio sul Nilo. Il maestro ha vinto diversi importanti riconoscimenti, come un Golden Globe per la migliore colonna sonora originale, un Oscar alla migliore colonna sonora e un David di Donatello per il miglior musicista.

La sua formazione musicale è stata precoce e le sue capacità straordinarie. Entrato al Conservatorio Giuseppe Verdi (Milano) nel 1923, è stato allievo di Paolo Delachi e Giulio Bas. Nel 1922 compone L'infanzia di S. Giovanni Battista scritto a quasi undici anni ed eseguito nello stesso anno a Milano e l'anno successivo a Turcoing, in Francia; in occasione della esecuzione francese, chiamato alla ribalta dal pubblico entusiasta ne diresse la replica del finale. Nel 1926 Nino Rota scrive Il Principe Porcaro, un'operina per ragazzi ispirata ad una fiaba di Hans Christian Andersen. Tre quarti d'ora di una musica che, considerata l'età del compositore, è giudicata dai critici già matura, senza sbavature, intensa e al tempo stesso ironica. Successivamente Nino Rota studia privatamente con Alfredo Casella a Roma, conseguendo il diploma in composizione musicale al Conservatorio di Santa Cecilia nel 1930.

Nel 1930 si reca negli Stati Uniti, e vi rimane due anni, per alcuni corsi di perfezionamento vincendo una borsa di studio a Philadelfia. Torna in patria per laurearsi in lettere all'Università degli studi di Milano con una tesi dedicata al compositore Gioseffo Zarlino.

Nel 1933 esegue il suo primo accompagnamento musicale del film Treno popolare di Raffaello Matarazzo. Film veloce e giovanile girato da un cast di ventenni tutto in esterni, con pochi mezzi e con grande realismo e allegria. La sua musica sottolinea con gaia spensieratezza il carattere gioviale e divertente del film. Per l'occasione compose anche una simpatica canzonetta Treno popolare che divenne il leitmotiv centrale del film. Il rapporto di collaborazione e amicizia con R. Matarazzo continuò anche per altri film nel 1942 e 1943.

Nel 1937 insegna teoria e solfeggio al Liceo Musicale di Taranto, mentre due anni dopo passa al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, dove insegna armonia e composizione; di quest'ultimo istituto diventa direttore nel 1950.

Dopo aver realizzato l'accompagnamento musicale per il film Zazà di Renato Castellani nel 1944, incontra, successivamente, Federico Fellini impegnato a produrre Lo sceicco bianco per Luigi Rovere. Da allora tra i due artisti si instaura un'amicizia lunga trent'anni e una collaborazione per numerosi film. Compone le musiche anche per due capolavori di Luchino Visconti, Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963). Nel 1972 compose le musiche del film Il padrino, Due anni dopo vince l'ambito premio con le musiche del film Il padrino - Parte II. Nel 1977 vince il David di Donatello per il miglior musicista per il film Il Casanova di Federico Fellin

Dall'inizio della sua carriera come compositore di colonne sonore non smette di comporre musica per orchestra, da camera e vocale, oltre a numerose opere liriche (la più celebre delle quali è sicuramente "Il cappello di paglia di Firenze") e si permette addirittura qualche incursione nel mondo della televisione (per esempio le musiche per lo sceneggiato "Il giornalino di Gian Burrasca").

Insieme con Fellini, Rota s'incontra nella sua abitazione accanto al Panteon a Roma con Umberto Iacolucci, grafico impaginatore di Tv Sorrisi e Canzoni che ha realizzato la copertina del 33 giri della colonna sonora I Clowns. I tre elaborano la copertina del 33 giri CAM SAG 9053 Stereo che riporta tutti i film di Fellini e musicati da Rota: Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, il Bidone, Cabiria, La dolce vita, Boccaccio 70, Fellini 8 1/2, Giulietta degli spiriti, Satyricon, I clowns, Roma, Amarcord. La copertina riproduce cinque caricature di Nino Rota disegnate da F. Fellini. Supervisione e orchestra diretta da: Carlo Savina. Produzione: Giuseppe Giacchi. Foto del lato b di copertina di Pinna ePierluigi. Cover: Umberto Iacolucci. Stampa: Campi Grafica di Foligno.

Il compositore muore poco dopo la fine delle registrazioni della sua ultima colonna sonora per Fellini, Prova d'orchestra

Per i funerali di Federico Fellini, Giulietta Masina chiese al trombettista Mauro Maur di suonare l' "Improvviso dell'Angelo" di Nino Rota nella Basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma.

Pur essendo conosciuto soprattutto per il suo lavoro nel mondo del cinema, Nino Rota ha composto anche per il teatro ed il balletto con notevole riscontro internazionale.

A lui è dedicato, a Monopoli, il Conservatorio Nino Rota, in origine nato su iniziativa dello stesso compositore come sezione staccata di quello barese, e oggi sede autonoma. A lui è pure dedicato l'auditorium del Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari.

Nino Rota




lunedì 2 dicembre 2013

Storia d'Italia - Il ratto delle Sabine

Il ratto delle sabine è una fra le vicende più antiche della storia di Roma, avvolte dalla leggenda. Lo storico Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.), nella sua monumentale storia di Roma, raccoglie molti di questi racconti tradizionali, in cui mito, rituali arcaici ed eventi storici sono spesso intimamente legati. Uno degli episodi più celebri è costituito dal "Ratto delle sabine".

Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei vicini risponde con l'astuzia. Organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapisce le loro donne.

12 - CONTINUA



Il celebre ratto delle sabine, compiuto da Romolo, poco dopo la fondazione di Roma del 753 a.C., nel dipinto di Pietro da Cortona.

domenica 1 dicembre 2013

Involtini alla messinese

Oggi siamo tutti radunati a casa di mia sorella per festeggiare mio nipote Federico che compie undici anni. 

Mia sorella, che per passione ama cucinare, ci ha preparato, tra le tante prelibatezze, gli involtini alla messinese. 

Ecco la ricetta: prendete le fettine di carne e adagiatele sul piatto con l'olio solo da una parte (sarà la parte interna dell'involtino). Mischiate il pangrattato, il parmigiano, il prezzemolo, il sale e il pepe in una ciotola amalgamando bene il tutto, dopodiché aggiungete poco alla volta l'olio finché il composto non assume la consistenza della sabbia bagnata. 

Prendete una piccola quantità di composto e mettetelo nelle fettine di carne cercando di lasciare ai lati uno spazio sufficiente per poter chiudere l'involtino. Se volete mettete un po' di prosciutto cotto e alla fine un dadino di Galbanino. Chiudere la fettina prima piegando i lati poi arrotolandola su se stessa creando l'involtino e infilzatelo senza stringerlo troppo nello spiedino. Continuate con l'operazione fino ad esaurimento.

Una volta finiti, spargete sopra un po' di pangrattato e cuoceteli. Si possono fare al forno (ungete una teglia e metteteli a 180° per circa 15 minuti o finché non diventano dorati e il formaggio non si fonde, ricordatevi però di girarli a metà cottura!) o sulla griglia (sono cotti quando sono dorati, ricordatevi di girarli su ogni lato in modo che la doratura sia uniforme).

Buon appetito.