La strage di Bologna, compiuta la mattina di sabato 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna, è il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, da molti indicato come uno degli ultimi atti della strategia della tensione.
Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), tra cui Giuseppe Valerio Fioravanti. Gli ipotetici mandanti sono tuttora sconosciuti, ma furono rilevati collegamenti con la criminalità organizzata e i servizi segreti deviati.
Nell'attentato rimasero uccise 85 persone ed oltre 200 rimasero ferite. Le indagini si indirizzarono quasi subito sulla pista neofascista, ma solo dopo un lungo iter giudiziario e numerosi depistaggi (per cui vennero condannati Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza), la sentenza finale del 1995 condannò Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro «come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l'attentato di Bologna» e per aver «fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato», mentre nel 2007 si aggiunse anche la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all'epoca dei fatti.
Nei giorni successivi, la centrale Piazza Maggiore ospitò imponenti manifestazioni di sdegno e di protesta da parte della popolazione e non furono risparmiate accese critiche e proteste rivolte ai rappresentanti del governo, intervenuti il giorno 6 ai funerali delle vittime celebrati nella Basilica di San Petronio. Gli unici applausi furono riservati al presidente Sandro Pertini, giunto con un elicottero a Bologna alle 17:30 del giorno della strage, che in lacrime affermò di fronte ai giornalisti: «non ho parole, siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».
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