Padre Pizzaballa |
Incontro da non perdere quello con Padre Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, chiamato ad approfondire il titolo del Meeting di quest’anno, “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”.
Pizzaballa ha definito la nostra epoca come «il tempo della post-verità», in cui non c’è posto per Dio, così che l’idea di uomo e del mondo sono cambiate radicalmente. Ha poi individuato un cambiamento nella nostra realtà di Chiesa, in un periodo post-cristiano, conseguenza del fatto che non vi è più stata trasmissione della fede nelle famiglie. Per risanare questo cambiamento, che vede protagonista non soltanto l’Europa, ma anche il Medio Oriente, Pizzaballa ha individuato alcuni punti fondamentali. «Il primo è di riappropriarsi della tradizione, con uno spirito cristiano. Ciò che infatti abbiamo ricevuto dai nostri padri nella fede è nulla di meno che la verità sull’uomo e la storia. Per possedere tale eredita è necessario che essa sia compresa e poi comunicata attraverso un linguaggio nuovo». Nel richiamare i numerosi riferimenti biblici che emergono dalle parole del titolo del Meeting, Pizzaballa ne ha sottolineata una fondamentale, che rischia di rimanere oscurata: il “tu”. «Un “tu” che per essere un buon erede deve innanzi tutto divenire adulto nella fede e nella vita sociale». Spostandosi poi sulla parola “eredità”, ha specificato quanto questa nel linguaggio biblico non sia soltanto un passaggio giuridico, bensì un dono stabile, che non può essere perso e di cui il Signore è il solo proprietario. Ma per entrare in contatto con l’eredità il primo passo è la memoria, «non una memoria inquinata, ma la memoria del dono di cui solo Dio è autore, di ciò che ci fa vivere».
Guadagnare l’eredità dei padri significa entrare in possesso dell’unica cosa che è già nostra. E’ però compito di chi eredita accoglierla e personalizzarla. In tal senso il vescovo ha presentato due parabole del Vangelo (quella dei talenti e del tesoro e della perla preziosa), le quali esprimono il significato profondo di possedere e personalizzare: queste, infatti, sottolineano che chi possiede l’eredità ha necessariamente il compito di mettersi in gioco, correndo magari il rischio di perdere tutto. Così facendo, non solo si ricevono gli elogi del padrone, ma si entra a far parte della Sua gioia e quindi della Sua vita.
Secondo Pizzaballa, oggi si rifiuta quello che abbiamo ricevuto, «considerandolo un fardello pesante», op-pure ci si difende «dalle istanze della modernità, richiamandoci nostalgicamente alla tradizione». Contro il «delirio della contemporaneità, che ci vuole genitori di noi stessi, dobbiamo far memoria di una promessa ricevuta e trasmessa dai padri, perché una società dimentica dei padri è una società di orfani, non di figli». Ma che cosa riceviamo da questa “promessa che ci precede”?. Qual è il cuore di questa eredità? Pizzaballa dà una risposta che è la chiave del suo intervento: «Quello che conta è la trasmissione del desiderio da una generazione all’altra. Fare memoria, dunque», ha incalzato, «non per nostalgia ma per risvegliare il desiderio. È il modo con il quale i nostri padri hanno testimoniato che si può vivere con slancio, con soddisfazione». E bisogna trovare i modi per comunicare tale bellezza, «perché l’uomo contemporaneo, inconsapevolmente, sta attendendo tale “buona notizia”, che lo rivela a sè stesso».
I cristiani debbono chiedersi se il loro “fare memoria” attinge al desiderio dei padri, «che può fare di loro i protagonisti della costruzione del Nuovo Mondo a cui appartengono, investendo i talenti che hanno ricevuto in dono, senza sentirsi perduti perché il vecchio mondo si sta esaurendo». Al riguardo, il personaggio esemplare è stato san Benedetto: nel VI secolo, davanti ad un impero in disfacimento, si è ritirato in vita eremitica e ha creato un movimento che ha riplasmato il mondo antico con la sua testimonianza. «Chiunque guardava a san Benedetto e ai suoi monaci», ha sottolineato il vescovo, «vedeva riflesso in loro il desiderio infinito di amore e di bellezza che ogni uomo ha nel cuore, ma che solo l’incontro con dei testimoni sa disseppellire».
Solo un adulto, però, «è capace di ricevere, elaborare e investire. Questa grande operazione di personalizzare l’eredità ricevuta», ha spiegato il vescovo, «passa per i piccoli eventi che accadono nella vita. Spesso si perde tempo in attesa di grandi occasioni, ma la differenza non sta nell’entità dell’evento, quanto nel giocarsi in esso con la consapevolezza che ti stai giocando la vita, senza aver paura di perdere gli affetti, la dignità, il lavoro, la vita». La paura di perdere il “talento” ci fa smarrire il vero tesoro, troppo spesso identificato «in una eredità di valori sublimi, di buona etica; quando invece la nostra eredità è la Pasqua, della quale noi e il mondo abbiamo sete». Ma da cosa si capisce che stiamo vivendo per il tesoro giusto? «Il segno è la gioia, la gioia di chi ha trovato la perla preziosa e allora va e vende tutto».
Monsignor Pizzaballa ha poi fatto riferimento alla sua esperienza di vescovo in Medio Oriente, dove le co-munità cristiane sono ridotte al lumicino e i pochi cristiani rimasti sono sul punto di andarsene anche loro. In questo clima, un giovane cristiano palestinese, che ha studiato in Europa, lo ha colpito per quello che gli ha detto: «Legare la nostra speranza e il nostro futuro a soluzioni politiche o sociali creerà solo frustrazione. Ciò che salverà il cristianesimo sarà il radicamento in Cristo». I cristiani sono chiamati ad evangelizzare e a testimoniare il bello, il buono e il vero che c’è nel Vangelo e nella Tradizione, senza lamentarsi per quello che è stato perduto. «Bisogna essere capaci di un annuncio comprensibile e attraente. Non serve parlare di valori cristiani senza dire che Cristo è ciò che di meglio si può incontrare. Niente muri che separano perché non c’è nulla che non possa essere valorizzato dall’esperienza del Vangelo».
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